Qual è il denominatore comune che lega un giornalista qualunque come Francesco Specchia (di Libero) a due star di Hollywood, come Susan Sarandon e Melissa Barrera

La risposta è semplice: lo Stato ebraico sionista di Israele.

Come evidenziava pochi giorni fa in una intervista tv la direttrice generale di Amnesty, Ileana Bello, non è consentito criticare lo Stato di Israele, senza ricevere in risposta l'accusa di essere antisemita. In altri casi, le comunità ebraiche ricorrono alla protesta o alla richiesta di provvedimenti nei confronti dei "reprobi".

Quella sionista è una rete capillare, distribuita nelle nazioni cosiddette occidentali, che controlla qualsiasi atto e/o dichiarazione che possa essere considerata dannosa per la sua propaganda a mantenimento dell'attuale status quo in Israele. L'attibuto sionista è da utilizzare per non confondere gli ebrei che professano una religione con i nazionalisti che, in nome di una religione, quella ebraica, da decenni stanno sfruttando, depredando e sterminando il popolo palestinese.

Facciamo chiarezza.

Un paio di settimane fa, probabilmente per errore, il propagandista del (post) fascismo come ieri lo era stato del Berlusconismo, Nicola Porro aveva chiamato come ospite nella sua trasmissione Francesca Albanese, avvocatessa specializzata in diritto internazionale e diritti umani, dal 2022 relatrice speciale delle Nazioni Unite per i territori palestinesi occupati.

Abituata a dire pane al pane e vino al vino sulle tv internazionali, la Albanese ha svelato senza peli sulla lingua cosa accada realmente a Gaza e nei Territori occupati, sbugiardando e facendo stizzire la platea (post) fascista. Così nei giorni successivi è iniziata da parte dei media dell'estrema destra una campagna nei suoi confronti per paragonarla a quanto di peggio si possa immaginare.

Ieri Francesco Specchia - per chi non lo avesse presente è quel tale con la faccia cartavetrata, la labbra tirate e gli occhiali dalla montatura di mille colori che a fatica userebbe persino un adolescente - ha scritto che a Francesca Albanese  doveva "essere scappata un po' la frizione" per aver definito l'America soggiogata dalla lobby ebraica.

Perché tale affermazione dovrebbe essere falsa? Il povero Specchia non ce lo spiega... ed il motivo è molto semplice: perché tale affermazione è assolutamente vera!

Perché, come ben spiegato in questo articolo, l'AIPAC (American Israel Public Affairs Committee), considerata la più importante  lobby americana per il sostegno allo Stato di Israele, controlla il Congresso degli Stati Uniti e, indirettamente, anche l'inquilino della Casa Bianca.

Nelle elezioni al Congresso degli Stati Uniti, Aipac ha supportato 365 candidati sia democratici che repubblicani, foraggiandone la candidatura con più di 17 milioni di dollari. Non solo. In base a quanto l'AIPAC ha dichiarato, il 98% dei candidati che hanno avuto il suo supporto è stato eletto!

C'è di più. A quei candidati l'AIPAC fornisce informazioni sempre aggiornate, a cui si devono attenere quando parlano di Israele. Questa è la pagina contenente tutte le indicazioni: www.aipac.org/resources .

Quindi, chiunque occupi la poltrona dello studio ovale deve fare i conti con questa situazione e non può prescindere dal dover supportare qualsiasi nefandezza commessa dai sionisti israeliani, altrimenti chi gli approverà mai una legge?

E lo stesso val per il mondo della finanza, della comunicazione e dell'intratteniento, come in quest'ultimo dimostrano le recenti vicende di Susan Sarandon e Melissa Barrera.

Prima un piccolo passo indietro.

Questo è ciò che riporta il "Bet magazine" della comunità ebraica di Milano:
 
Il Museo del cinema dell’”Academy” avrà una sezione speciale dedicata allo straordinario contributo ebraico alla cinematografia.Dalle polemiche alla realizzazione di un nuovo spazio, dedicato a fondatori ebrei di Hollywood.Il mondo ebraico statunitense ha avuto un ruolo determinante nella nascita e nello sviluppo dell’industria cinematografica hollywoodiana. Ne sono una dimostrazione i produttori Samuel Goldwyn e Louis Mayer, fondatori della leggendaria casa di produzione Metro Goldwyn Mayer, l’ebreo ungherese Adolph Zuckor che fondò la Paramount Pictures e i fratelli Warner, capostipiti della casa d’animazione Warner Bros; a completare il quadro, i registi “germanofoni” Billy Wilder, brillante autore di capolavori della commedia come A qualcuno piace caldo e Prima pagina, ed Ernst Lubitsch, raffinato regista ebreo berlinese, celebre per opere come Vogliamo vivere e Ninotchka.Per questo motivi, il Museo del cinema dell’Academy di Los Angeles, progettato da Renzo Piano,  dalla primavera del 2023 aprirà una apposita sezione permanente per valorizzare lo straordinario contributo ebraico al cinema d’oltreoceano. Lo riportano vari siti da Smithsonian Magazine al Jewish Telegraphic Agency. Questa  decisione, tuttavia, sembra essere il lieto fine preceduto da una spirale di polemiche.Jonathan Greenblatt, uno dei membri di punta dell’Anti Defamation League, dopo aver visitato il Museo avrebbe manifestato, durante un’intervista rilasciata a Tatiana Siegel sul sito della celebre rivista musicale Rolling Stone, il proprio disappunto riguardo all’assenza di qualunque riferimento a personalità ebraiche.Sembra che  Greenblatt non sia stato il solo a notare questa mancanza; una serie di critiche si sarebbero riversate sul Museo, secondo quanto riportato dal New York Times, da parte dei leader delle organizzazioni ebraiche così come da personaggi importanti del cinema statunitense. Fra questi, il  produttore cinematografico e televisivo Haim Saban che, secondo l’articolo dell’Hollywood Reporter, avrebbe versato 50 milioni di dollari al Museo dell’Academy, mentre John Goldwyn nipote del produttore Samuel della MGM, l’avrebbe definita “una colossale svista”.Fortunatamente, adesso tutto sembra sistemato e dalla primavera del 2023 il museo avrà la sua sezione ebraica, intitolata “Hollywoodland” che, stando alla curatrice Dara Jaffè, approfondirà le origini dell’industria hollywoodiana attraverso le vite e i successi dei suoi principali fondatori, dai produttori ai registi.Dispiaciuto per le polemiche, Bill Kramer, direttore del Museo dell’Academy, ha evidenziato che “abbiamo sempre avuto l’intenzione di valorizzare il contributo ebraico; quando si parla dei fondatori di Hollywood, sicuramente ci si riferisce alle sue personalità ebraiche e prendiamo molto seriamente le critiche ricevute”.Quali saranno i protagonisti di questa sezione ebraica del Museo dell’Academy? Oltre ai nomi già citati, ci saranno anche star come la magnetica attrice Heidy Lamarr e lo sceneggiatore Herman Maniewicz, oggetto dell’avvincente film Mank con Gary Oldman. Soddisfatto, Greenblatt ha affermato che “il Museo dell’Academy come istituzione culturale ha il dovere di valorizzare l’esperienza delle minoranze come gli ebrei, raccontandone le storie”. Per questo motivo, assieme al direttore Kramer, egli ha aggiunto che l’Anti Defamation League avvierà un programma di lotta all’antisemitismo, attraverso il ruolo degli ebrei a Hollywood. Intanto, come ha reso noto la Jewish Telegraphic Agency, in questi giorni si starebbero interessando alla nuova sezione ebraica  anche nomi di spicco come il regista Steven Spielberg e lo sceneggiatore Andrew Garfield.

In pratica, i sionisti americani avevano dato di matto perché il museo dell'Academy non aveva sottolineato come avrebbe dovuto il ruolo degli ebrei nella fondazione delle major di Hollywood: Warner, Metro, Universal e Paramount.

E proprio quest'ultima è la major che produce con Spyglass la serie horror Scream da cui è stata recentemente licenziata l'attrice messicana Melissa Barrera che, pertanto, non parteciperà al settimo film della saga.

Lo scorso 22 ottobre la Barbera aveva pubblicato un post dove spiegava che Israele, un «Paese colonizzatore», sta commettendo «un genocidio e una pulizia etnica» ai danni dei palestinesi, aggiungendo che «i media occidentali mostrano solo la prospettiva israeliana. Lascerò a voi dedurre perché lo fanno». In un altro post, Barrera aveva condiviso un articolo del sito Jewish Currents intitolato "A Textbook Case of Genocide" (un caso da manuale di genocidio), in cui si faceva riferimento all’uso della violenza contro i palestinesi come a una «distorsione dell’Olocausto per rilanciare l’industria delle armi israeliana».

I sionisti di Paramount e Spyglass Media sono corsi subito ai ripari dichiarando di aver eliminato dalla serie l'attrice messicana per i suoi post... antisemiti:

"Non tolleriamo antisemitismo o incitamento all’odio in qualsiasi forma, compresi i falsi riferimenti al genocidio, alla pulizia etnica, alla distorsione dell’Olocausto o qualsiasi cosa che oltrepassi palesemente il limite dell’incitamento all’odio".

NON È POSSIBILE DENUNCIARE AL MONDO I CRIMINI DEI SIONISTI.

Lo stesso è accaduto a Susan Sarandon, licenziata dall'agenzia di UTA per aver partecipato alla manifestazione pro-Palestina di New York del 17 novembre, rilasciando dichiarazioni, ovviamente sgradite. 

Un'agenzia che deve "piazzare" i propri attori nei film di Hollywood non può rappresentare anche chi denunci i crimini sionisti.

Ma chiunque, persino il Papa, non può denunciare ciò che sta avvenendo a Gaza e nei Territori occupati. Un paio di giorni fa il pontefice aveva detto che quella in corso non era una guerra, ma terrorismo, riferendosi sia alle azioni dei combattenti di Hamas che a quelle dello Stato ebraico. Dopo 24 ore è arrivata la reprimenda dei rabbini sionisti italiani, che lo hanno accusato di mettere sullo stesso piano "aggredito e aggressore"!

Che c'è da stupirsi? 

Questa mistificazione va avanti da decenni perché nessuno ha mai avuto il coraggio di denunciarla e chi la denuncia, come dimostrano gli esempi precedenti, finisce per essere criticato, emarginato, licenziato... oltre che essere automaticamente definito antisemita. 

È il mondo a rovescio sdoganato dai sionisti che vedono solo il "dopo" negando l'esistenza del "prima", che definiscono buoni e "giusti" coloro che compiono un genocidio... loro malgrado, perché si starebbero difendendo!!!