VIAGGIO NOTTURNO.
La prima volta che si vola, ognuno reagisce a modo suo. I nostri non gradiscono i vuoti d’aria a ripetizione. Guardano il film lottando con le cuffie che distruggono i padiglioni auricolari, provano a mangiare. Di dormire, per il momento, non si parla.
I boys statunitensi mollano i piedi nudi sugli schienali e guai a protestare. Le anziane oriunde a loro volta si levano le scarpe. Sembra di stare sulla corriera per Cerignola.
Atterraggio al JFK (con applauso al pilota, ancora si usava). Evviva, eccoci a NY! Già, ma adesso?
Gli fanno aprire le valigie, li interrogano, li frugano, (molto più di quanto avverrà a certi giovanotti l'11/9), finché i pochi italiani si sono volatilizzati.
Provano a chiedere in giro: hanno studiato l'inglese, ma lo slang è ostico! Persi negli States. E il loro gruppo non li ha aspettati, né ha lasciato un messaggio un avviso, zero.
"Beh, prendiamo un taxi, saranno allo Sheraton".
La coppia guadagna tremebonda l’uscita: subito li abborda un tonico tassista.
Non hanno neppure il tempo di aprir bocca, che quello ha già sistemato precariamente tutte le valige dietro, li caccia a forza nell'auto e sbraita: che simpatici gli italiani, sono stato in Italia, a Gorizia nel 1944. Il tassametro è spento.
Inizia un giro vizioso. Si intravedono suburbi, facce inquietanti da gang. Leggono già i titoli dei giornali: “Giovani italiani rapinati e picchiati nella Grande Mela”.
Non ci pensare, siamo a New York, New York.
La corsa costa una cifra spropositata, che pagano senza fiatare e svuota pericolosamente le tasche. Però,nel frattempo, si staglia Manhattan, in notturna, tutta luci, giganti Lego, sogni e pellicole che ti si svolgono nella mente. Una sensazione a cui Genna rimarrà legata per molto.
Approdano stremati e sconvolti all’hotel e si ficcano a letto dopo una folata di gelo da condizionatore, con temperatura vicino allo zero.
Una bella notte di sonno o d'amore? Troppo stanchi, anzi: sveglia all’alba, o se li perderanno di nuovo.
L’indomani li aspetta il “continental breakfast”: colazione americana, non compresa nel prezzo ma abbondante, con quel caffè così diverso da quello che fa mammina in Italia.
E' un susseguirsi di stupori: com'è veloce l'ascensore, gli impiegati non hanno pazienza, vanno tutti di corsa. Li coglie una sensazione di inadeguatezza.
La fortuna per la prima volta li soccorre, impersonata dai custodi del magazzino dell’albergo. Si tratta di una coppia originaria del salernitano, che non ha l’aria di aver realizzato l’american dream e permette loro di fare la prima telefonata intercontinentale, a scrocco.
I due li canzonano, notando l' impaccio: “Siete sposini? Bravi, bravi… ricordate, call collect, così pagano quelli dell’Italia…”
Ecco dunque che parte la telefonata assassina:
“Mamma sono io, ora una ti chiede una cosa in inglese, tu rispondi yes, vuol dire che sei d’accordo, non preoccuparti”.
Roberto è ancora più drastico: “Pa’, rispondi sì, non discutere, passami la mamma che tu non senti un c…”.
Risultato: la prima impressione è che per gli italiani una mano d’aiuto arrivi sempre, se non si fanno troppi problemi sulla provenienza.
Recuperata la comitiva iniziale, Roberto e Genna si affannano a spiegare che il ritardo non è stata colpa loro. Verificano subito che la guida italiana, un romano circa cinquantenne, ha occhi solo per le giovani e single.
Gli altri hanno un bell'insistere: “Fausto, cos’è questo, cos’è quello?”; lui nemmeno risponde.
Apprendono con sgomento che ad ogni giro turistico e cambio di guida locale passerà una busta per la mancia: rischiano la fame.
E infatti, il primo pranzo è costituito da certe sostanze colorate e ipercaloriche, consigliate dall’ineffabile guida/playboy, pescate in un supermercato che vende naturalmente di tutto e a tutte le ore: prendono anche un formaggio con le lentiggini e lo stomaco protesta.
Giro ad Harlem. Giungono sassate, e con esse i primi dubbi: chi sceglie gli itinerari?
Prima decisione autonoma: niente Messa Gospel. Si ribellano alla cantata del povero negro ad uso turistico.
Quanti obesi! Fausto si degna di accontentare la curiosità: è lo stress americano, ragazzi, la bella gente di Dallas per le strade non si vede. E questo è niente, se andaste in Nebraska o in Indiana, ne vedreste il triplo (ora li conosciamo bene, grazie al dottor Nowzaradan). Quanti homeless. Certo, sono un tipico sottoprodotto del capitalismo americano. E la violenza? E i serial killer? Oh raga, questa è l'Amerika.