di Pierluigi Mele
Vincenzo Musacchio, criminologo forense e docente di strategie di lotta alla criminalità organizzata transnazionale al Riacs negli Stati Uniti, interviene nel dibattito sul 41 bis e sul caso Cospito.


Professore ci spiega in breve il caso Cospito e perché suscita un dibattito così acceso in questi giorni?

Alfredo Cospito è il primo anarchico a finire al 41-bis. Il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha respinto il reclamo avanzato dai suoi difensori contro il regime di carcere duro. Una decisione contro la quale i legali hanno fatto ricorso in Cassazione. La battaglia di Cospito rischia di essere strumentalizzata e può diventare persino unificatrice delle diverse spinte anti-sistema che si agitano nella società. È divenuto un caso anche per la grande ridondanza mediatica.


Cosa pensa delle accuse del deputato Donzelli di Fratelli d’Italia contro gli esponenti del Partito Democratico, che hanno esercitato il diritto-dovere di verificare le condizioni di detenzione di Alfredo Cospito nel regime di 41-bis?

Politicamente credo si commentino da sole. Da penalista credo vi siano fatti penalmente rilevanti nella sua condotta rivelatrice di informazioni investigative, per loro natura riservate e non divulgabili in pubblico. Il suo comportamento sembra sarà oggetto di valutazione da parte dell’Autorità giudiziaria di Roma. Lo stesso Ministro della giustizia Nordio ha affermato che quelli resi pubblici in Parlamento erano dati riservati per cui non erano divulgabili all'esterno.

Nel merito lei cosa pensa del regime di 41-bis applicato a Cospito?

Premettendo che il decreto applicativo del regime carcerario differenziato fu firmato dalla Ministra della giustizia Marta Cartabia su sollecitazione della autorità giudiziaria torinese e della Procura Nazionale Antimafia ed è stato confermato dal Tribunale di sorveglianza di Roma, per ora, formalmente, sono sussistenti i presupposti per l’applicazione del 41 bis. Dovremo attendere cosa deciderà la Cassazione il 7 marzo prossimo venturo, salvo il caso in cui il Ministro Nordio assumerà la responsabilità della decisione stabilendo la revoca o la conferma del 41-bis.

Come giurista, intendo la sua posizione dottrinale, invece, come si esprime?

Da esperto di strategie di lotta alla criminalità organizzata mi sono sempre espresso a favore del regime del 41-bis come strumento indispensabile per impedire ai boss e ai terroristi di mantenere contatti operativi con l’ambiente criminale esterno. In questa espressione lo aveva voluto Giovanni Falcone: impedire ai capimafia di avere contatti dal carcere con l’esterno. I collaboratori di giustizia e il 41-bis erano allora e sono oggi parte di una azione antimafia ancora necessaria. Questa misura restrittiva è ancora imprescindibile, non può essere abrogata o peggio applicata in modo inefficace. Se ciò accadesse le mafie otterrebbero ciò che non riuscirono a conseguire con la strategia del terrore e con le stragi.


Nordio ha dichiarato in Parlamento che il 41-bis non si tocca e non è trattabile dietro ricatto, lei come la pensa?

Mi sembra evidente che lo Stato democratico, pena della sua stessa esistenza, non possa cedere davanti a ricatti di qualsiasi genere essi siano, men che meno dinnanzi a pressioni di un detenuto, che stia facendo lo sciopero della fame o, peggio, stimoli dall’interno del carcere ad attentati di matrice terroristica all’esterno. La vicenda Cospito, mi sembra poi oggetto di pericolose strumentalizzazioni da parte di mafiosi mai rassegnatisi al carcere a vita, per cui, mi auguro questo caso sia occasione per riflettere soprattutto sul rischio di indebolire la legislazione antimafia e antiterrorismo.


Secondo lei, quindi, si rischia che i mafiosi strumentalizzino la protesta di Cospito?

Certamente sì. Prima del 41-bis i capi mafia gestivano il clan dal carcere, continuando a impartire ordini ai sodali in libertà. Con il 41-bis, nonostante assicuri loro una carcerazione “decorosa” (camera singola, nessun problema di convivenza come condivisione della televisione, del bagno degli armadi), ha come contrappeso la limitazione dei contatti con l’esterno. È questo il più grande danno per un boss: privarlo del suo immenso potere di comando. Finché non si comprenderà quest’aspetto sul 41-bis, si continueranno a dire molte cose inesatte. È bene non dimenticare gli enormi risultati ottenuti nella lotta alla mafia proprio con questa legislazione e con gli strumenti voluti da Giovanni Falcone e che attualmente rischiano di essere messi in discussione. Lo Stato di diritto ha tra i suoi compiti primari quello della sicurezza della Nazione, per cui, non si possono avere esitazioni nella lotta alle nuove mafie. 


Vincenzo Musacchio, criminologo forense, giurista, associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). È ricercatore indipendente e membro dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra.