“Trovo assurdo che nella richiesta di archiviazione il pm Pignatone parli di elementi indiziari, che avevano avuto riscontro, circa il coinvolgimento nel sequestro di alcuni elementi della banda della Magliana. E mi domando: possibile che invece di approfondire questi indizi per poter andare a processo si preferisca archiviare tutto?”
Sono le dure parole che Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, ha consegnato a MicroMega e pubblicate all'interno di un numero monografico dal titolo “Potere vaticano. La finta rivoluzione di papa Bergoglio”, in uscita giovedì 31 maggio. Un atto di accusa nei confronti del procuratore generale di Roma, Giuseppe Pignatone.
Pietro Orlandi, sulla rivista diretta da Paolo Flores d'Arcais, ricostruisce l'intera vicenda ricordando come, non appena Pignatone divenne procuratore generale, ebbe l'occasione di parlare cinque minuti con lui: “Mi accorsi subito che della storia sapeva ben poco.
Non potei fare a meno di chiedermi perché il nuovo capo della procura volesse quel caso per sé. Il dubbio che possa essere stato contattato da quegli ambienti che avevano avvicinato Giancarlo Capaldo mi passò per la testa: in fondo stava facendo quello che avevano chiesto a Capaldo… E alla fine arrivò anche la richiesta di archiviazione del caso, da parte di Pignatone e confermata poi dal gip. Capaldo si oppose a questa richiesta rifiutandosi di firmarla e a quel punto Pignatone lo esonerò definitivamente e fece firmare la richiesta di archiviazione a un altro magistrato”.
Ad aumentare le perplessità di Orlandi nei confronti di Pignatone c’è poi un’intercettazione dell’epoca in cui Carla Di Giovanni, vedova del boss della banda della Magliana Enrico De Pedis, dice a uno degli indagati – monsignor Pietro Vergari, rettore di Sant’Apollinare all’epoca della scomparsa di Emanuela – di essere convinta che Pignatone lo avrebbe fatto tacere.
“Il procuratore nostro sta prosciogliendo… sta archiviando tutto”, dice a Vergari. Pignatone, commenta la vedova De Pedis, sta facendo una strage: Capaldo è stato cacciato, Rizzi – che era il capo della mobile – è stato mandato via… E aggiunge che il suo avvocato le ha detto che il procuratore gli ha assicurato che avrebbe archiviato tutto.
“Io so chi ha rapito Emanuela: è un sistema che lega Stato, Chiesa e criminalità e che ormai da 35 anni impedisce alla verità di emergere”, conclude Pietro Orlandi, il quale ritiene che la cittadinanza vaticana di sua sorella sia la chiave del sequestro.
Sono passati 35 anni e tre papi, innumerevoli sono state le ipotesi avanzate, ma a tutt'oggi non si conosce la verità. E da Oltretevere solo un muro di silenzio e d’ipocrisia. Una storia che MicroMega prova a ricostruire grazie a questa lunga testimonianza di Pietro Orlandi.
segnalazione web a cura di Rem Gis (pseudonimo) - giornalista freelance
fonte: www.micromega.net