Domenica sarà canonizzato a Roma - sarà Santo- un uomo che ha incarnato i valori del libero giornalismo, fino alla morte: il padre carmelitano olandese Titus Brandsma (1881 - 1942). 


Nel 2018 Papa Francesco invitò i giornalisti, con parole chiare, ‘a promuovere un giornalismo di pace’, un ‘giornalismo senza infingimenti, ostile alle falsità, a slogan ad effetto e a dichiarazioni roboanti; un giornalismo fatto da persone per le persone, e che si comprende come servizio a tutte le persone, (…) un giornalismo impegnato a indicare soluzioni alternative alle escalation del clamore e della violenza verbale’ (La verità vi farà liberi (Gv. 8,32).


Quattro giornalisti cattolici di Olanda e Belgio hanno chiesto con una lettera aperta a papa Francesco che San Tito Brandsma sia il patrono del giornalismo o il copatrono insieme all’attuale patrono Francesco di Sales, senza dubbio un santo uomo di fede con grandi meriti, ma che non era un giornalista nel senso moderno della parola. Tito Brandsma invece lo era.


Più di sessanta giornalisti di testate e agenzie internazionali hanno firmato l’ appello, così come un’associazione di giornalisti composta da 520 membri.


Titus Brandsma nacque nei Paesi Bassi, il 23 febbraio 1881. Il suo nome di Battesimo era Anno Sjoerd.

Tra il 1892 e il 1898 Anno Sjoerd frequentò il ginnasio dei France­scani di Megen, nel Nord Brabante e desiderava entrare tra i Francescani, ma non venne accolto a causa della salute cagionevole, che non gli avrebbe consentito di sopportare la durezza della vita francescana.

Si rivolse quindi ai Carmelitani, che lo accettarono: il 22 settembre 1898 entrò nel noviziato di Boxmeer.

 

Il 17 giugno 1905, a 24 anni, venne ordinato presbitero nella cattedrale di Den Bosch, nel Brabante. Fu quindi inviato a Roma, nel Collegio Internazionale di Sant’Alberto, dove restò tre anni, dal 1906 fino al 1909. Frequentò la Facoltà di filosofia della Pontificia Uni­ver­sità Gregoriana e seguì anche corsi di sociologia presso l’Istituto Leoniano. Nel frattempo proseguì la collaborazione con alcuni giornali e riviste olandesi. Il 25 ottobre 1909 poté superare l’esame di dottorato.

Rientrato in Olanda, iniziò ad insegnare filosofia e matematica nello studentato carmelitano di Oss, dove restò dal 1909 al 1923. Nel 1912 fondò il periodico Karmelrozen (Rose del Carmelo, divenuto in seguito Speling) e nel 1918 iniziò la pubblicazione, in più volumi, delle opere di Santa Teresa in lingua olandese. Dal 1919 al 1923 fu caporedattore del giornale De Stad Oss (La città di Oss).

Nel 1923 divenne professore di filosofia e storia della mistica nella neonata Università Cattolica di Nimega, dove restò fino al 1942.

Nell’anno accademico 1932-1933 fu eletto Rettore Magnifico della stessa Università e fu nominato  assistente ecclesiastico dell’Associa­zione dei giornalisti cattolici, con l’incarico di seguire circa una tren­tina di testate giornalistiche. Fu in quell’occasione che il Beato ottenne la tessera internazionale di giornalista. Viaggiò anche in Irlanda e negli Stati Uniti, dove tenne conferenze sulla spiritualità e la tradizione carmelitana, in seguito raccolte nel volume The Beauty of Carmel (La bellezza del Carmelo).

Padre Titus era un uomo mite, attento agli interlocutori, capace di ascolto. Mostrava particolare disponibilità nei confronti degli studenti ed era sempre pronto ad aiutare chiunque avesse bisogno.

Tra il 1938 e il 1939 tenne dei corsi all’interno dell’Università, criticando l’impostazio­ne pagana e antiumana dell’ideologia nazionalsocialista, di cui aveva ben compreso il pericolo.

Intanto la guerra, iniziata nel settembre 1939 con l’invasione della Polonia, si volse anche verso occidente: il 10 maggio 1940 le truppe di Hitler invasero l’Olanda, il Belgio, il Lussemburgo e la Francia.

Il 26 gennaio 1941 la Chiesa Olandese, per mezzo dei suoi vescovi, reagì con fermezza contro i provvedimenti nazisti. L’Arcivescovo Johannes De Jong, in un colloquio col Beato, si disse preoccupato per la situazione della stampa cattolica, obbligata a pubblicare proclami emanati dal governo di occupazione, in evidente contrasto con la morale cristiana. Per questo, nei primi dieci giorni di gennaio 1942, Padre Titus girò in treno l’Olanda, visitando le redazioni dei giornali cattolici, per portare le indicazioni dell’epi­scopato e incoraggiare i direttori a resistere alle pressioni naziste. Sua Ecc.za Mons. De Jong dichiarò in seguito che il religioso era ben consapevole del pericolo a cui si stava esponendo. Appena rientrato a Nimega, tenne in Università la sua ultima lezione. Mentre faceva ritorno al convento, fu arrestato. Il 20 gennaio 1942 venne condotto nel carcere di Scheveningen, dove restò fino al 12 marzo. Quando venne interrogato sulla sua attività e i motivi della sua opposizione al nazismo, Padre Titus ribadì con franchezza le sue posizioni, redigendone anche nove pagine di memoriale. I verbali di quell’interrogatorio, conservati dall’ufficiale incaricato, prete secola­rizzato, sono stati materiale prezioso nella Causa del Beato Brandsma. In carcere poté tenere con sé due libri: la vita di Santa Teresa di Gesù scritta da Kwalkman (Het leven van heiligen Theresia, 1908) e Jezus di Cyriel Verschaeve (1939). Padre Titus decise di impiegare il tempo della prigionia scrivendo la vita di Santa Teresa, come avrebbe desiderato sin dai tempi della giovinezza e non era mai riuscito a fare per i troppi impegni. In mancanza di carta, utilizzò il libro sulla vita di Gesù scrivendo, tra le righe, quella della Santa di Avila. Dei giorni trascorsi a Scheve­ningen resta anche un diario, intitolato La mia cella. Scrisse anche la preghiera Davanti all’immagine di Gesù.

Il 12 marzo venne condotto nel campo penale di Amersfoort, dove rimase fino al 28 aprile, costretto a lavorare e a vivere in condizioni durissime. Il 16 maggio fu ricondotto a Scheveningen per un supplemento d’interrogatorio, che durò fino al 13 giugno. Da Scheveningen venne trasferito nel campo di smistamento di Kleve, in Germania e vi trovò qualche sollievo alle sofferenze subite ad Amersfoort. A Kleve infatti poté partecipare alla Messa ed ebbe colloqui spirituali con il cappellano del campo. A nulla valsero i tentativi dei superiori, che cercavano di trasformare la condanna di Padre Brandsma in domicilio coatto, da scontare presso un convento tedesco.

Il 13 giugno iniziò il lungo viaggio in treno, a bordo di un carro bestiame con molti altri prigionieri, che condusse Titus Brandsma attraverso Colonia, Francoforte e Norimberga fino al campo di Dachau. La maggioranza degli internati si amma­lava per le pessime condizioni igieniche e per il rigore disumano di vita e di lavoro. L’ospedale del campo era di fatto solo un’anti­ca­mera del forno crematorio. Vi venivano anche compiuti esperimenti di natura “medica”, che avevano per cavie i prigionieri, specie quelli disabili e più deboli.

Dal 19 giugno al 18 luglio 1942 Padre Titus si trovò nel blocco 28, in cui erano radunati numerosi religiosi e sacerdoti. Il 18 luglio entrò nell’ospedale del campo, detto Revier, e vi rimase fino a dome­nica 26 luglio. Quel giorno, alle ore 14, venne ucciso da un’iniezione di acido fenico. Poco prima di morire, il Beato aveva donato all’infermiera che lo stava uccidendo la propria corona del Rosario, fabbricata per lui da un internato. La donna, una giovane olandese infatuata dell’ideologia nazista, gli disse di non saper pregare e Padre Titus le rispose che per farlo le sarebbe bastato dire: “Prega per noi peccatori”. Ella poi si convertì e, durante il Processo per la Beatificazione e Canonizzazione, rese la propria preziosa testimo­nianza sulle ultime ore di vita del Carmelitano.

Il corpo di Titus Brandsma, come quello di migliaia di altri prigionieri deceduti, venne verosimilmente cremato negli ince­ne­ritori del campo di Dachau.