Maysoon Majidi, regista teatrale e attivista curdo-iraniana, è stata arrestata il 23 dicembre scorso in Italia con l’accusa di scafismo e di aver messo in pericolo la vita di oltre cento persone. Ora è detenuta nel carcere di Castrovillari. Rischia tra i 6 e i 16 anni di carcere e il pagamento di 15.000 euro per ognuna delle persone a bordo.Majidi era fuggita dall’Iran dopo che la Polizia morale l’aveva ritenuta personalmente coinvolta nell’organizzazione delle proteste contro il regime. Insieme al fratello ha speso circa 17.000 euro per la traversata, il che contraddice il presunto coinvolgimento attivo nell’organizzazione del viaggio.L’unica prova nell’ambito dell’accusa di scafismo sarebbe la testimonianza di due persone a bordo che successivamente hanno negato qualunque tipo di coinvolgimento nell’accusa.A Majidi è stato negato l’interrogatorio previsto per legge. Come può una indagata difendersi se non gli è permesso di fornire la propria versione dei fatti? Siamo di fronte a una violazione del codice di procedura penale e soprattutto del diritto alla difesa. In una situazione simile si trova anche Maryam Qaderi, detenuta presso la Casa circondariale di Reggio Calabria. Maryam, fuggita con il figlio dall’Iran, arriva in Italia e viene accusata di essere una scafista. La separazione dal figlio sta generando in lei una grande sofferenza e atti di autolesionismo.Le due donne sono fortemente provate dalla detenzione e dal timore che non emerga l’estraneità alle accuse che vengono mosse loro.Anche il Garante regionale dei diritti delle persone private della libertà personale della regione Calabria, Luca Muglia, ha espresso profonda preoccupazione per l’accusa avanzata nei loro confronti.Non è la prima volta che nella “lotta” contro “i trafficanti di esseri umani” si procede con modalità problematiche, coinvolgendo persone che hanno come unica colpa quella di essersi dovute affidare a viaggi illeciti in mancanza di canali legali e in un ribaltamento di responsabili e responsabilità.La prossima udienza di Majidi è prevista per il 10 maggio. Che sia l’occasione per lei per poter finalmente esprimere il suo sacrosanto diritto alla difesa.
Questo è quanto dichiarava il 9 maggio Luigi Manconi, fondatore e presidente di "A Buon Diritto", onlus che offre assistenza a coloro che sono privati della libertà, a chi cerca di integrarsi nel nostro paese, a chi è vittima di discriminazioni o di episodi di razzismo, a chi ha subito abusi o torture.
Purtroppo però, nulla è cambiato per Maysoon Majidi. In questa prima settimana di giugno la gip del Tribunale di Crotone, Elisa Marchetto, ha respinto la nuova istanza di concessione dei domiciliari che era stata avanzata dal difensore dell'attivista curda, l’avvocato Giancarlo Liberati, a seguito del parere contrario della pm Rosaria Multari.
Questo è l'articolo di Claudio Dionesalvi su il Manifesto:
Come ti chiami, dove sei nata? Aspettate, vorrei spiegarvi. Non preoccuparti, vieni con noi. Clack, le manette. Sarà stata distrazione o negligenza. I mediatori culturali e gli interpreti sono una lotteria, devi trovare quello giusto. Maysoon Majidi è stata sfortunata.Nessuno le ha dato il tempo di parlare, dopo essere sbarcata il 31 dicembre scorso nei pressi di Crotone, al termine di un viaggio durato quattro giorni. Da sei mesi è detenuta nel carcere di Castrovillari, in Calabria, con l’accusa di aver pilotato la barca che ha trasportato lei ed altri disperati dalla Turchia.MAYSOON è curda, ha studiato teatro e sociologia a Teheran. Disegnatrice, videomaker, nei mesi di detenzione ha imparato a scrivere in italiano. Negli anni scorsi è stata premiata 33 volte per i suoi reportage. Ci vuole una robusta dose di idiozia o malafede per accusarla di essere una «scafista». È il concetto stesso a essere irreale nel 2024.Solo la narrazione acida, distorsiva e «a buon mercato», costruita dalle destre in questi ultimi due anni, poteva vomitare il folk devil dello scafista. Tale poteva essere trenta anni fa chi conduceva nell’Adriatico imbarcazioni partite dall’Albania e territori limitrofi, cariche di persone migranti. In cambio di congrue ricompense, traghettavano i «dannati», li scaricavano e tornavano indietro. Oggi nessuno si presterebbe a compiere un’impresa così priva di convenienza, senza ritorno. È vero, sulle barche dei disperati possono trovarsi soggetti costretti a collaborare con chi ha organizzato i viaggi. Ma non Maysoon che quando è sbarcata aveva 150 euro in tasca!Parlava troppo, durante la traversata, questa attivista 27enne che ha avuto duri scontri verbali con quelli che poi in un primo momento la avrebbero indicata come «scafista» ai poliziotti impegnati nella caccia al «capitano». Senza confermare le presunte accuse, queste persone si sono poi dileguate.Ora vivono altrove e hanno paura di tornare in Italia per testimoniare l’innocenza di Maysoon nelle aule di giustizia. A bordo c’era pure chi aveva una cabina tutta per sé. E qualcuno occupava una poltrona, mentre la maggioranza, compreso un neonato di un mese, dormiva a terra o era compressa nella stiva.Non ha esitato a schierarsi dalla parte di chi viaggiava in basso Maysoon che da ragazzina ha militato per sette anni nel Komala, l’organizzazione curda che ha combattuto contro il potere fascio-religioso iraniano. Forse anche per questa sua temerarietà, qualcuno ha deciso di fargliela pagare.BISOGNAVA trovarlo a tutti i costi, lo scafista. E per ammanettarla è bastato che qualcuno mormorasse: «Manteneva la calma a bordo», «distribuiva cibo e acqua tra gli altri passeggeri», «ha girato un video, appena avvistate le coste italiane, e lo ha inviato a chissà chi». Potenza immaginifica di certi inquirenti: non ci voleva il tenente Colombo per scoprire che alla partenza dalla Turchia i trafficanti – quelli veri, che restano a terra – avevano sequestrato a tutti gli smartphone a lei, affidandoli a uno di coloro che poi hanno rivolto lo sguardo infame contro di lei.Alla vista della sponda italiana, Maysoon e gli altri profughi hanno riottenuto l’uso del cellulare. Le è stato restituito per consentirle di comunicare alla famiglia che poteva (e doveva) versare alla malavita turca la seconda rata degli 8.500 dollari pagati per il viaggio. Un «biglietto» costato il doppio, perché prima della partenza i soldi le erano stati rubati.Ne raccontano anche la bellezza, i parlamentari che hanno incontrato Maysoon nel suo calvario italiano degli ultimi mesi: occhi neri e profondi, naso delicato, labbra disegnate, riesce ancora a sorridere amara, mentre narra la sua storia kafkiana. I legali riferiscono che è smagrita da uno sciopero della fame a tre riprese e che, come la maggior parte dei detenuti, soffre di attacchi d’ansia e panico, ma rifiuta i farmaci, vuole restare presente a se stessa.PER LA LEGGE iraniana, non è grave uccidere una donna: equivale a dare uno schiaffetto a un uomo. Lei è scappata dall’Iran per approdare in Italia, dove una giudice donna la imprigiona. Maysoon, che da reporter documentò la condizione dei curdi fuggiti in Iraq dall’Iran, nella terra di Cesare Beccaria oggi vive la loro medesima, orribile, condizione.Adesso però in gioco è la credibilità stessa del sistema giudiziario. Venerdì il tribunale di Crotone ha di nuovo respinto la richiesta di sostituzione della misura cautelare. Maysoon resta in carcere. Ma se c’è un giudice in Calabria che vuole dimostrare che i tribunali italiani giudicano ancora applicando i principi costituzionali, liberi Maysoon.
Ricordate la premier Meloni che voleva dare la caccia agli scafisti in tutto il globo terracqueo per combattere gli ingressi illegali dei migranti in Italia durante quella tragica conferenza stampa tenuta alla fine di un CdM organizzato a Cutro a seguito del naufragio avvenuto pochi giorni prima su quelle coste?
Già allora in molti avevano fatto notare quanto fosse inutile oltre che assurdo voler perseguire gli scafisti come se fossero loro il problema... non importava studiare per capirlo, bastava vedere il film Io Capitano di Garrone! Nonostante ciò, il governo dei (post) fascisti per dar modo ai propagandisti (che qualcuno si intigna a definire giornalisti) se la prendono con le vittime, raggiungendo l'apice del grottesco con il tenere in carcere in Italia per fuggire dalle carceri iraniane.
Così Maysoon Majidi che credeva di essersi liberata di Ali Khamenei è finita nelle "accoglienti" prigioni di Giorgia Meloni, quella che si vanta di aver introdotto in Europa un nuovo paradigma sul modo in cui gestire il fenomeno delle migrazioni!
Maryam Qaderi, invece, ha ottenuto i domiciliari e potrà riabbracciare il figlio di 8 anni con cui viaggiava. Sull'intensità del rischio cautelare ha inciso la necessità di assistenza nei confronti del figlio in tenera età, avendo la famiglia affidataria rappresentato che a breve non avrebbe potuto prendersi cura del minore. Nel corso delle dichiarazioni rese dinanzi al magistrato di sorveglianza il 14 marzo scorso, Maryam aveva riferito di essere stata vittima di violenze anche in Iran da parte del marito e che, per questo motivo, si era allontanata con il figlio dal Paese d'origine, per assicurare a sé e al bambino un futuro migliore.