Ravit Hecht su Haaretz commenta con questo titolo il risultato delle elezioni politiche in Israele: "Israele ha detto sì al messaggio di Netanyahu: tutto è permesso".
Il commento è relativo alla vittoria di Netanyahu, il cui partito, il Likud, in base ai voti finora conteggiati nelle elezioni politiche israeliane avrebbe ottenuto 36 seggi, contro i 32 di Kahol Lavan (Blu Bianco) di Gantz, il suo sfidante. La coalizione delle liste arabe è la terza forza politica della Knesset, con 15 seggi.
In base al 90% dei voti scrutinati, la coalizione di destra rappresentata da Netanyahu avrebbe ottenuto 59 seggi, mentre quella di centrosinistra solo 54.
Netanyahu ha definito il risultato delle urne come "la più grande vittoria della mia vita". L'attuale premier dello Stato ebraico, 70 anni, ha ricoperto l'incarico di premier dal 1996 al 1999 e di nuovo dal 2009 fino ad oggi. Nei prossimi giorni, a partire dal 17 marzo, dovrà difendersi in tribunale dalle accuse che lo vedono indagato in tre diversi casi di corruzione.
Come ha dichiarato il segretario generale dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP), Saeb Erekat, a commento dei primi exit polls, la vittoria di Netanyahu è da attribuirsi a tre fattori: "insediamenti, occupazione e apartheid".
Infatti, il premier israeliano ha utilizzato come "do ut des" per catturare voti il "folle", criminale e irrealizzabile accordo di pace inventato dal genero di Trump (amico di famiglia di Netanyahu), sull'esempio del Bantustan del Sud Africa al tempo dell'apartheid, e il via libera - in caso di vittoria elettorale - alla costruzione di un nuovo insediamento nei pressi di Gerusalemme est (tra l'altro in violazione dello stesso piano di pace di Trump).
Argomenti, quelli sopra ricordati, che hanno fatto breccia nell'elettorato israeliano perché finora la comunità internazionale, per volontà degli Stati Uniti (tema che non riguarda solo la geopolitica, ma l'influenza rappresentata dai media e dalla finanza ebraica nelle elezioni presidenziali Usa), ha permesso ad Israele di mettere in atto una politica di apartheid contro il popolo palestinese, in passato rapinato ed oggi anche sfruttato dallo Stato ebraico e dai suoi cittadini: tutto è permesso, come ha commentato l'editorialista di Haaretz.
A meno di sorprese, però, la maggioranza nella Knesset si raggiunge con 61 seggi: a Netanyahu ne mancano 2. Avigdor Lieberman, leader di Yisrael Beiteinu che avrebbe ottenuto 7 seggi e che nella scorsa legislatura è stato l'ago della bilancia per dare ad Israele un governo, come in passato ha dichiarato che manterrà la sua promessa - anticipata anche in campagna elettorale, di non aderire a una coalizione di cui facciano parte partiti religiosi.
Netanyahu, nei prossimi giorni riceverà dal presidente Reuven Rivlin l'incarico di formare formare un governo. Capiremo allora se avrà o meno i numeri per riuscirci o se la sua sarà stata solo una vittoria di Pirro.