La tensione tra i due stati è diventata palpabile: colpi e contraccolpi, accuse e contro accuse, in gioco equilibri di potere e credibilità degli stati.

Erdogan, come ci ha abituato da sempre, ed ancor più nel dopo golpe, non è uomo da mezze misure; persegue un disegno ben preciso ed alza costantemente il tiro; dalla sua, la popolazione, prezzolata o meno, vigliacca o meno, ma che lo sostiene.

Dall'altra la Germania, da sempre lo Stato Forte in seno alla comunità europea, dove l'intransigenza è regolamente affittuaria di uno spazio ultravivibile, e dove l'orgoglio nazionale è spesso la molla che induce all'agire.

ENTRO OTTOBRE VOGLIO UNA RISPOSTA DA BRUXELLES

Tuona Erdogan, che chiede l'abolizione dei visti sui passaporti per i cittadini turchi che vogliono recarsi in altri stati CEE -  come prevede appunto lo status di nazione aderente ed inglobata nella federazione.

Se non arriverà l'assenso, Erdogan minaccia ( e sappiamo che lo farà, quindi forse sarebbe più corretto dire che promette) di mettere in discussione l'accordo sui migranti, stilato appunto con la UE.

E che alle casse turche ha fruttato fino ad ora una valanga di euro, pagati dagli stati membri per impedire la trasmigrazione dei turchi sui propri territori.

NON CEDIAMO AI RICATTI DI ANKARA

afferma di contro la Germania, con la voce del Vice Cancelliere Gabriel, che, giusto per dare un piccolo segnale della propria forza ed indipendenza, vieta la videoconferenza di Erdogan, organizzata per essere trasmessa in diretta nel corso della manifestazione pro governo turco, indetta dai suoi seguaci in territorio tedesco, tenutasi recentemente.

Di contro la UE sottolinea che deve essere Ankara a soddisfare i 72 criteri richiesti per poter accedere alla federazione ed a tutti gli annessi e connessi che questo comporta.

Che dire: schermaglie e rappresaglie, per giochi sicuramente più grandi di noi. Una cosa è certa: allo stato attuale, Ankara non soddisfa i 72 criteri, quindi sicuramente non otterrà quanto richiesto a gran voce da Erdogan.

Sarebbe il caso che tutti gli stati membri si trovassero intorno ad un tavolo per affrontare seriamente la questione dei flussi migratori, invece di coltivare ognuno il proprio piccolo orticello, pagando gli spaventapasseri per tenere lontani i corvi.