Non è ben chiaro perché la Turchia dopo più di 100 anni consideri inammissibile definire genocidio lo sterminio indiscriminato dei civili armeni compiuto dall'esercito di Ankara nel 1915 durante la I guerra mondiale.
La Turchia ammette che molti armeni in quel periodo furono uccisi dalle forze dell'impero ottomano, ma nega che gli omicidi furono orchestrati e sistematici e per tale motivo non possano costituire un genocidio.
Gli Stati Uniti, come molti altri Paesi, non si erano mai espressi ufficialmente sull'argomento per ragioni esclusivamente diplomatiche, essendo più conveniente mantenere le migliori relazioni possibili con i turchi per questioni di carattere più geopolitico che economico.
Ma dato che Erdogan ha ormai deciso di giocare su più fronti in base alla convenienza del momento, i "riguardi del passato" non hanno più senso.
Per questo Biden, sabato, ha detto chiaramente che la repressione dei turchi contro il popolo armeno è da considerarsi un genocidio, facendo infuriare Ankara che, tramite Ibrahim Kalin, portavoce e consigliere del presidente Tayyip Erdogan, ha risposto a stretto giro anticipando ritorsioni contro gli Stati Uniti a partire dai prossimi giorni e destinate a protrarsi nei mesi a venire.
Kalin è rimasto sul vago, ma ha aggiunto che Erdogan se ne sarebbe occupato a partire dalla prossima riunione di gabinetto che si terrà lunedì. La Turchia è un membro importante della Nato e gli Stati Uniti hanno nel sud del paese un'importante base aerea.
Tra Usa e Turchia i rapporti erano già da tempo altalenanti, con Washington che aveva già imposto sanzioni ad Ankara per l'acquisto di un sistema di difesa anti-aerea dalla Russia, mentre Erdogan era andato su tutte le furie perché gli Stati Uniti avevano fornito armi e supporto ai curdi in Siria. Inoltre non avevano estradato un politico da tempo residente negli Usa che, secondo la Turchia, avrebbe orchestrato il tentativo di colpo di Stato del 2016.