“I pentiti e i loro figli, devono morire”, questa è una delle numerose frasi che si leggono sui social, nei confronti di Luigi Bonaventura, della sua famiglia e di chiunque collabori con la giustizia.

Bonaventura, che da tempo porta avanti un progetto di antimafia sociale denominato “Striscia l’antimafia” e insieme alla moglie Paola (e altre persone), ha dato vita all’“Associazione Sostenitori di Collaboratori e Testimoni di Giustizia”, dopo i numerosi tentativi di intimidazione, ha detto basta a tutta questa violenza e odio. Nelle sue dirette social, Luigi Bonaventura, spiega e induce i giovani, a non aderire alle dinamiche delle mafie e proprio per questo, viene preso di mira da “utenti anonimi” - e incensurati -, che rivolgono frasi inequivocabili e minacce di morte ad egli stesso e a chiunque lo appoggi.

“I pentiti di mafia, dovrebbero essere sterminati e con loro, le proprie famiglie”, questo è uno degli innumerevoli messaggi che Bonaventura visualizza nelle dirette e alla quale, il pentito si oppone con fermezza, presentando anche numerosi esposti alla Dda di Catanzaro, con l’aiuto del proprio legale Francesco Guido.

Per comprendere la vita di un pentito, bisogna conoscere le origini dello stesso e la famiglia Bonaventura ha una lunga storia che parte dal sud Italia, per espandersi fino al nord dell’Europa ed arrivare addirittura in Canada.

Luigi Bonaventura, classe 1971, nipote del boss Luigi Vrenna, denominato “U’ Zirru”, famiglia appartenente alla ‘ndrangheta ha origini ben radicate nella violenza e nel terrore che da essa scaturisce. Dal contrabbando delle sigarette Luigi Vrenna, da Crotone (grazie all’unico porto calabrese) arriva a gestire i suoi traffici fino a Taranto, divenendo un leader del commercio illegale, controllando anche il mercato del pesce e generando importanti capitali attraverso il commercio della droga.

U’ Zirru poteva soddisfare ogni richiesta, non importava con quali modalità, in questa maniera godeva di rispetto e di onnipotenza; era un intoccabile grazie anche alla sua fermezza e stabilità, ma per continuare ad essere un boss, la violenza doveva essere sempre più crescente e ferma; un compromesso tra l’essere temuto e affermato, con una espansione sempre più in evoluzione.

La mafia crotonese si divideva tra infiltrati lungimiranti, nel tentativo di entrare nelle Istituzioni e mercati illegali, spostandosi così, anche nel Nord Italia. Giovanissimi ragazzi venivano mandati nel settentrione, come cellule dormienti, pronte ad essere attivate quando le situazioni lo avessero richiesto. Per affermare, confermare l’importanza e l’appartenenza, oltre che la fedeltà alle origini, attraverso la continuità nel tramandare la cultura mafiosa, l’indottrinamento violento, soprattutto con l’uso di armi, iniziava fin da bambini.

Omicidi, intimidazioni, sparatorie, “stragi di Mafia” sempre più continue alle quali il giovane Luigi Bonaventura, ad un tratto si oppone, divenendo così dal 2006 un “pentito” e quindi, un infame per i mafiosi.

Nel mondo Dio perdona, la ‘ndrangheta no e nemmeno dimentica e questo, Luigi Bonaventura e tutti i pentiti e i collaboratori di giustizia, lo sanno bene.