Esteri

Netanyahu ha ormai le ore contate?

Per Netanyahu, ormai praticamente allo sbando, l'unica possibilità di sopravvivenza politica è quella di continuare la guerra a Gaza, nel sud del Libano e nei Territori Occupati. Una guerra permanente che possa esser interpretata dai sionisti israeliani e dai sionisti non israeliani come l'occasione per assassinare il numero più alto possibile di palestinesi e cacciarli definitivamente dalla loro terra... la Palestina. 

Eretz Israel, che non riconosce la Cisgiordania indicando quel territorio  come Giudea e Samaria, è uno Stato ebraico che va dal fiume (Giordano) al mare (Mediterraneo), secondo quanto dichiarato nell'atto costitutivo del Likud. Netanyahu e i suoi sostenitori dell'ultradestra sionista mirano a quell'obiettivo e per metterlo in atto continuano il genocidio a Gaza, dove dal 6 maggio hanno iniziato l'operazione di terra a Rafah.

Ma la resistenza di Hamas e degli altri gruppi armarti palestinesi, le proteste all'interno di Israele per la liberazione degli "ostaggi", le proteste in tutto il mondo contro il genocidio, le crepe nel supporto internazionale a Israele che si stanno sempre più allargando, rendono il massacro di civili nella Striscia ormai sempre più inutile, sempre più assurdo e sempre più condannabile.

Così i leader delle opposizioni nella Knesset, che in un primo momento avevano applaudito la guerra di Netanyahu, adesso lo stanno abbandonando. Lapid lo ha fatto praticamente fin da subito, Gantz lo sta facendo adesso, con un ultimatum in cui chiede al premier israeliano di presentare entro la prima settimana di giugno un piano credibile sulla guerra e sul dopo guerra, perché adesso il governo non ha una strategia... escludendo quella di radere al suolo edifici e infrastrutture e uccidere i civili. I contenuti dell'ultimatum di Gantz vanno a rafforzare la denuncia di pochi giorni fa, praticamente analoga, da parte del ministro della Difesa Gallant.

Per cercare di riportare alla ragione Netanyahu, Biden ha inviato Jake Sullivan in Medio Oriente. Dopo la visita in Arabia, il consigliere per la Sicurezza nazionale nelle prossime ore incontrerà il premier israeliano per cercare di riavviare l'accordo sul cessate il fuoco con lo scambio dei prigionieri.

Intanto, il premier Spagnolo Pedro Sanchez la prossima settimana chiederà al Parlamento di riconoscere lo Stato Palestinese. Probabilmente, come già aveva anticipato il commissario Ue Borrell, la Spagna non sarà l'unico Paese a farlo. Anche Belgio e Irlanda, ad esempio, in passato avevano ipotizzato tale decisione, la più logica per chiunque sostenga come giusta e dovuta la soluzione a due Stati per mettere fine al conflitto ultra decennale in Medio Oriente.

Invece, è inutile anche solo pensare che un governo (post) fascista come quello italiano possa fare altrettanto, viste le similitudini tra nazionalismo e sionismo.

Rimane comunque la speranza che i tribunali dell'Aia riescano prima o poi, supportati dalle proteste pro Palestina dei milioni di persone che da mesi scendono in piazza, a far ricordare ai leader dei cosiddetti Stati democratici l'esistenza di un diritto internazionale che i loro Paesi, di cui sono rappresentanti, da decenni hanno redatto e si sono impegnati a far rispettare. Attualmente non lo stanno facendo.

Autore Giuseppe Ballerini
Categoria Esteri
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