"Rifinanziare questa missione è una scelta indecente, è l'abdicazione alla migliore cultura giuridica democratica della storia di questo Paese".

Così alla Camera si è espresso Nicola Fratoianni (LeU) in merito alla possibilità di continuare a supportare per i prossimi 12 mesi il (nuovo) regime libico con ulteriori finanziamenti.

"Non è un atto di cecità - ha proseguito Fratoianni -: chi oggi sceglierà di rifinanziare questa missione lo farà avendo avuto modo di vedere bene che cosa significhi questa scelta e quali siano stati i risultati della nostra brillante strategia pluriennale su questo fronte; in questi anni, infatti, abbiamo regalato alla cosiddetta Guardia costiera libica, le cui performance sono state efficacemente ricordate poco fa dalla collega Pini, motovedette, formazione e abbiamo scoperto che quei regali hanno prodotto in serie un meccanismo capace di alimentare il circuito perverso che fa di quella cosiddetta Guardia costiera, contemporaneamente, un corpo in divisa che, di giorno, cattura chi, di notte, ha messo sui barconi per alimentare un perverso circuito di arricchimento e di speculazione sulla vita e sulla disperazione di decine e di centinaia di migliaia di persone.Quello che accade nei lager libici è ormai purtroppo cronaca conosciuta, quello che accade nel Mediterraneo lo è altrettanto, quello che accade, quando le motovedette che noi abbiamo regalato alla cosiddetta Guardia costiera incrociano qualche nostro peschereccio, lo è ancora una volta di più.Bene, credo che, di fronte a tutto questo, alla catena degli orrori, alla catena dei disastri anche sul piano della strategia internazionale sarebbe ora di fare una cosa semplice: dire basta ad una missione che non ha logica - nemmeno rispetto agli obiettivi dichiarati per cui è nata - e che è contraria al diritto internazionale, all'etica, all'umanità, alla giustizia, alla possibilità perfino di interpretare correttamente il grande tema dei flussi migratori.Come nasce questa missione? Nasce come nasce l'accordo, altrettanto indecente, tra l'Europa ed Erdoğan, il “dittatore”, definito così dal Presidente del Consiglio Mario Draghi, per fermare, a quelle latitudini, i flussi migratori sulla rotta balcanica; nasce dentro l'idea che l'immigrazione sia emergenza, picco straordinario, emergenza a cui sia possibile rispondere in tono emergenziale, come se si trattasse di una perdita d'acqua, quella che si ferma, stringendo le viti di un rubinetto difettoso. Ma l'immigrazione è un grande fenomeno strutturale, con il quale noi, parte dell'Occidente cosiddetto sviluppato, più di altri nel mondo, dovremmo saper fare i conti, perché quei flussi migratori - che siano dovuti a guerre, spesso alimentate, come ha ricordato il collega Magi, dalla nostra scelta di continuare a commerciare in armi con Paesi che alimentano guerra e disperazione, che siano motivati dalla crisi climatica, a cui in modo diseguale questa parte del mondo contribuisce, che siano nel futuro alimentati dalla diseguale distribuzione dei vaccini, su cui anche noi non abbiamo avuto il coraggio di dire parole chiare e di agire in modo determinato in sede internazionale per la sospensione dei brevetti, che siano alimentati dalla diseguale distribuzione, sempre più importante, della ricchezza nel mondo -, hanno a che fare con le nostre responsabilità.Nonostante lo sforzo, che pure apprezzo, dei colleghi e delle colleghe del Partito Democratico, considero anche l'emendamento approvato, francamente, non solo insufficiente, ma anche di difficile comprensione e lo dico davvero senza polemica. Perché - vedete, colleghi e colleghe - il punto non è chi addestra la Guardia costiera perché quella Guardia costiera continui a perpetrare i suoi crimini. Lo dico in modo ancor più chiaro: attenzione, o non c'è il problema, e allora la missione si rifinanzia, o c'è il problema e allora si boccia, ma, se qualcuno interviene sul problema, dicendo che lo si risolve, spostando da un'altra parte la catena di comando e la responsabilità di quella collaborazione, badate che il segnale che rischiate di mandare è che il problema non sta là, nella Guardia costiera libica, ma sta - e questo è il paradosso - di qua, in chi addestra. Ora, poiché non penso sia così, dico che qui c'è una sola soluzione, lo ripeto, una sola soluzione: non rifinanziare una scelta indecente".

Manco a dirlo, la missione in Libia è stata nuovamente finanziata dall'Italia per altri 12 mesi.

E tanto per sapere che cosa la Camera ha deciso (ancora una volta) di finanziare, è d'aiuto questo rapporto sulla Libia pubblicato proprio quest'oggi da Amnesty International, in cui si denunciano le orribili violazioni dei diritti umani nei centri di detenzione  il vergognoso ruolo dell’Europa nei ritorni forzati:

In un rapporto diffuso oggi, Amnesty International ha rivelato nuove prove di orribili violazioni dei diritti umani, compresa la violenza sessuale, nei confronti di uomini, donne e bambini intercettati nel mar Mediterraneo e riportati nei centri di detenzione libici. Il rapporto mette in luce le terribili conseguenze della cooperazione in corso tra l’Europa e la Libia in tema d’immigrazione e controllo delle frontiere.

Intitolato “Nessuno verrà a cercarti: i ritorni forzati dal mare ai centri di detenzione della Libia”, il rapporto dimostra che le violazioni dei diritti umani dei migranti e dei rifugiati, in corso da un decennio, sono proseguite incontrastate nel primo semestre del 2021 nonostante l’asserito impegno ad affrontarle.

Il rapporto rivela inoltre che dalla fine del 2020 la Direzione per il contrasto all’immigrazione illegale (Dcim), un dipartimento del ministero dell’Interno della Libia, ha legittimato le violazioni dei diritti umani, integrando tra le strutture ufficiali due nuovi centri di detenzione dove negli anni scorsi le milizie avevano sottoposto a sparizione forzata centinaia di migranti e rifugiati. Persone sopravvissute a uno di questi centri hanno denunciato che le guardie stupravano le donne e le obbligavano ad avere rapporti sessuali in cambio di cibo o della libertà.

“Questo rapporto getta nuova luce sulla sofferenza delle persone intercettate in mare e riportate in Libia per finire immediatamente in stato di detenzione arbitraria ed essere sistematicamente sottoposte a torture, violenza sessuale, lavori forzati e altre forme di sfruttamento nella totale impunità. Le autorità libiche, dal canto loro, hanno premiato i responsabili di queste violazioni dei diritti umani attraverso promozioni e l’assegnazione di posizioni di potere. Questo significa una sola cosa: che rischiamo di vedere gli stessi orrori replicarsi ancora”, ha dichiarato Diana Eltahawy, vicedirettrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.

“Il nostro rapporto evidenzia inoltre la perdurante complicità degli stati europei, che continuano vergognosamente a rafforzare e assistere i guardacoste libici nella cattura di persone in mare e nel ritorno forzato di queste ultime nell’inferno dei centri di detenzione della Libia, anche se nelle capitali europee si sa perfettamente a quali orrori quelle persone andranno incontro”, ha aggiunto Eltahawy.

Amnesty International chiede agli stati europei, tra cui l’Italia – il cui parlamento sta dibattendo sul proseguimento della fornitura di sostegno militare e altre risorse ai guardacoste libici –, di sospendere la cooperazione con la Libia in tema di controllo dell’immigrazione e delle frontiere.  

Il rapporto contiene le storie di 53 migranti e rifugiati precedentemente trattenuti in centri ufficialmente posti sotto il controllo del Dcim, 49 dei quali detenuti direttamente dopo essere stati intercettati in mare.

Le autorità libiche hanno dichiarato di voler chiudere i centri del Dcim dove si sono verificate violazioni dei diritti umani ma le stesse violazioni si stanno verificando nei centri di detenzione nuovi o trasferiti sotto il controllo dello stesso Dcim. Sintomo di un’impunità dominante, luoghi informali di prigionia originariamente sotto il controllo di varie milizie sono stati riconosciuti e integrati nella struttura del Dcim.

Nel 2020, centinaia di persone intercettate in mare e riportate in Libia sono di fatto scomparse in un luogo informale di detenzione, all’epoca diretto da una milizia. In seguito, il sito è stato posto sotto il controllo del Dcim col nome di Centro di raccolta e di ritorno di Tripoli – meglio conosciuto col nome al-Mabani – e vi sono stati assegnati il direttore e altro personale del centro Dcim di Tajoura, tristemente noto per le torture, chiuso nell’agosto 2019 dopo un bombardamento che aveva ucciso almeno 53 detenuti.


Violazioni dei diritti umani in corso nei centri di detenzione della Libia

Nella prima metà del 2021 ad al-Mabani sono state portate oltre 7000 persone intercettate in mare. Ex detenuti hanno descritto ad Amnesty International le torture, le condizioni detentive inumane, le estorsioni e i lavori forzati cui erano sottoposti. Alcuni hanno anche riferito di essere stati costretti a subire perquisizioni corporali invasive, umilianti e violente.

L’altro centro di detenzione precedentemente diretto da una milizia e ora integrato nel Dcim è quello di Shara’ al-Zawiya, a Tripoli, cui sono destinate persone in condizioni di vulnerabilità. Ex detenuti hanno raccontato ad Amnesty International che le guardie stupravano le donne e che alcune di loro venivano obbligate ad avere rapporti sessuali in cambio di forniture essenziali come l’acqua potabile o della libertà.

“Grace” (nome di fantasia) è stata picchiata brutalmente per non aver accettato il ricatto: “Gli ho detto di no. Allora [la guardia] mi ha picchiato con una pistola, poi mi ha dato un calcio su un fianco con uno scarpone di cuoio da soldato”.

A seguito delle violenze subite, due giovani donne detenute a Shara’a al-Zawiya hanno tentato il suicidio.

Tre donne hanno testimoniato che due bambini, detenuti in cattive condizioni di salute con le loro madri dopo essere stati intercettati in mare, sono morti all’inizio del 2021 dopo che le guardie avevano rifiutato di trasferirli in ospedale.

Il rapporto di Amnesty International descrive violazioni dei diritti umani simili – tra cui pestaggi brutali, violenze sessuali, estorsioni, lavori forzati e condizioni detentive inumane – in sette centri di detenzione del Dcim.

Nel centro di Abu Issa, nella città di al-Zawiya, i detenuti hanno riferito di essere stati privati di sostanze nutrienti fino al punto di patire la fame. Ad al-Mabani e in altri due centri del Dcim, Amnesty International ha documentato l’uso illegale della forza e delle armi da fuoco da parte delle guardie e di altri uomini armati, che hanno ucciso e ferito detenuti.

“L’intero sistema dei centri di detenzione libici per i migranti è marcio dalle fondamenta e dev’essere smantellato. Le autorità libiche devono chiudere immediatamente tutti i centri di detenzione per rifugiati e migranti e porre fine alla loro detenzione”, ha sottolineato Eltahawy.


Le missioni “di soccorso” libiche mettono in pericolo le vite umane

Tra gennaio e giugno del 2021 le missioni “di soccorso” dei guardacoste libici sostenuti dall’Europa hanno intercettato in mare e riportato in Libia circa 15.000 persone, più che in tutto il 2020.

Le persone intervistate da Amnesty International hanno regolarmente descritto la condotta dei guardacoste libici come negligente e violenta. Sopravvissuti hanno raccontato come i guardacoste libici avevano deliberatamente danneggiato le imbarcazioni su cui viaggiavano, in alcuni casi causandone il capovolgimento e – in almeno due occasioni – l’annegamento di migranti e rifugiati. Un testimone oculare ha dichiarato che dopo che i guardacoste libici avevano fatto capovolgere un gommone, anziché soccorrere le persone in mare hanno filmato la scena.

Nei primi sei mesi del 2021 nel Mediterraneo centrale sono morti annegati oltre 700 migranti e rifugiati.

Persone intervistate da Amnesty International hanno spesso dichiarato che, durante la traversata, avevano visto degli aerei sopra di loro o delle navi nei paraggi che rifiutavano di offrire assistenza, mentre i guardacoste libici si avvicinavano.

Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere e delle coste, svolge sorveglianza aerea sul Mediterraneo per individuare imbarcazioni di migranti e rifugiati e dal maggio 2021 utilizza un drone su questo tratto di mare. Le navi europee hanno per lo più abbandonato le rotte del Mediterraneo centrale per evitare di dover soccorrere imbarcazioni di migranti e rifugiati a rischio di affondamento.

L’Italia e altri stati membri dell’Unione europea hanno continuato a garantire assistenza materiale, come ad esempio motovedette, ai guardacoste libici e stanno lavorando alla creazione di un centro di coordinamento marittimo nel porto di Tripoli, prevalentemente finanziato dal Fondo Fiduciario dell’Unione europea per l’Africa.

“Nonostante le massicce prove dei comportamenti sconsiderati, negligenti e illegali dei guardacoste libici in mare, e delle sistematiche violazioni dei diritti umani nei centri di detenzione a seguito dell’intercettamento in mare, i partner europei continuano a sostenere i guardacoste libici che riportano a forza le persone in Libia, a soffrire di nuovo quegli stessi abusi da cui erano fuggite”, ha commentato Eltahawy.

“È ampiamente giunto il momento che gli stati europei riconoscano che le conseguenze delle loro azioni sono indifendibili. Devono sospendere la cooperazione con la Libia in tema di controllo dell’immigrazione e delle frontiere e aprire urgentemente quei percorsi sicuri così necessari per la salvezza di migliaia di persone bisognose di protezione, attualmente intrappolate in Libia”, ha concluso Eltahawy.