La notizia pubblicata su ilmattino.it suscita la reazione del Movimento Internazionale dei sacerdoti sposati: "Da anni siamo impegnati per la trasparenza delle scelte sacerdotali di vita. Mai doppia vita per i preti.
Noi come sacerdoti sposati abbiamo un regolare percorso canonica che ci ha visti, prima di intraprendere relazioni, impegnati dopo la dimissione dagli incarichi pastorale a richiedere la dispensa dagli obblighi del celibato. Successivamente abbiamo regolarizzato la nostra posizione con il matrimonio religioso.
Invitiamo a non confondere i preti con figli nel ministero dai preti sposati che hanno fatto scelte di trasparenza senza doppia vita. Il Papa poi distingua il caso della nostra riammissione al ministero dalla campagna per l'abolizione del celibato sacerdotale. Sono questioni diverse!"
Di seguito la notizia:
Città del Vaticano – Mentre buona parte dei vescovi del Nord Europa vedono di buon occhio l'abolizione del celibato sacerdotale, in Africa si va in senso contrario. A pochi mesi dalla visita di Papa Francesco la conferenza episcopale della Repubblica democratica del Congo (Cenco) ha impresso un formidabile giro di vite al tema della castità sacerdotale richiamando i preti che hanno avuto figli e spesso vivono con concubine (in molte zone dell'Africa si tratta di una situazione più diffusa di quanto non si possa immaginare) a lasciare immediatamente il sacerdozio. Chi ha messo al mondo figli, rompendo il vincolo della castità, se ne deve andare, in base alla «necessità di un comportamento responsabile di fronte a dei bambini nati dalla relazione tra una donna e un prete».A parlare del documento appena licenziato dai vescovi del Congo è la rivista Nigrizia, dei padri comboniani. Nel sottolineare che «numerosissimi sacerdoti vivono fedelmente i loro impegni sacerdotali», che «la castità è un dono di sé per una fecondità spirituale (…) e che «il celibato è il segno di una libertà in vista del servizio», i vescovi congolesi riconoscono che ci sono dei problemi e delle difficoltà. Naturalmente l'obbligo alle dimissioni in caso di prole riguarda anche i vescovi medesimi.Riferendosi ai diritti dei bambini e delle donne costretti a vivere nella clandestinità, affermano: «Abbiamo l’obbligo morale di riconoscere che queste persone esistono e soffrono in silenzio. E chiedono riconoscimento e accompagnamento». Dunque, continuano i vescovi, «il prete genitore ha bisogno nel contempo della misericordia e del rimprovero della Chiesa».
Il documentoIl documento affronta di petto la questione: «Considerando, da un lato i diritti e gli obblighi dei genitori riguardo la loro progenie e dei figli riguardo i loro genitori, e dall’altro l’incompatibilità del ruolo di “padre di famiglia” con il ministero e la vita sacerdotale in regime cattolico romano, chiediamo a ogni prete della Chiesa famiglia di Dio che abbia un bambino di occuparsene completamente e, per fare questo, di sollecitare la dispensa dagli obblighi sacerdotali presso il Santo Padre. Ogni vescovo diocesano è disposto ad accompagnare attraverso i canali e i mezzi canonici ogni chierico della sua giurisdizione toccato da questa situazione». E nel caso in cui il sacerdote con prole opponga resistenza e non voglia chiedere la dispensa dagli obblighi clericali «il vescovo deve presentare il caso alla Santa Sede per la riduzione allo stato laicale».
L’esortazione episcopale non dice quanti siano i casi di preti con prole nella Repubblica democratica del Congo, ma si può supporre che non si tratti di un fenomeno di scarsa rilevanza.