È proprio vero che “Non bisogna dare le perle ai porci altrimenti le calpestano, si rigirano e ti sbranano”. Da quando entrai per la prima volta a scuola alla fine degli anni ’50 non ho mai sentito parlare di Costituzione perché le nuove generazione nate dopo la fine del conflitto mondiale non dovevano essere contaminate dal suo contenuto e nei libri di storia non ho mai letto del fascismo se non un breve accenno né tantomeno del nazismo e delle atrocità commesse nei campi di sterminio.
Dobbiamo essere realisti: il potere economico confliggerà eternamente con i diritti e la dignità dell’essere umano. La nostra Carta afferma che la sovranità spetta al popolo che la esercita attraverso i suoi rappresentanti, qui troviamo due contraddizioni sostanziali: la sovranità è parte inalienabile del popolo e ogni cittadino nasce con questa eredità che nulla e nessuno deve sottrarre o violare; la seconda contraddizione in termini è l’esercizio di tale patrimonio etico da parte dei suoi rappresentanti attraverso i partiti.
Quello che doveva essere un mezzo è divenuto un fine: i partiti hanno “scippato” la sovranità al popolo attraverso una serie di leggi elettorali finalizzate a sottrargli la libera scelta dei suoi rappresentanti. La nostra Costituzione ha abolito i titoli nobiliari ma i nobili hanno continuato a vivere nelle loro dimore lussuose, a far coltivare le loro terre ai loro sudditi, a non pagare le tasse, ecc. ecc. e i “cittadini” coniati nuovi di zecca dalla Costituzione continuavano ad essere analfabeti (il 70% della popolazione non sapeva né leggere né scrivere), a zappare la terra, a far figli e a baciare l’anello al clero che insegnava loro ad accettare la povertà come un dono divino e a votare la DC perché cristiana.
Nessuno immaginava quante “manovre” si celassero dietro questa formale democrazia! Mani, manine, manone si muovevano perché le cose continuassero a scorrere sui soliti binari: l’America interveniva all’ultimo momento nel conflitto mondiale che aveva raso al suolo l’Europa per marciare da liberatrice e vincitrice, trattò la resa della Germania e impose la “sua” giustizia attraverso i suoi giudici che condannarono solo alcuni capi della gerarchia nazista omettendo di fare una epurazione radicale per suo diretto ed esclusivo interesse, che si addoperò per la ricostruzione di interi Paesi guadagnandoci lautamente e, imponendo le sue direttive politico/economiche a tutti gli “alleati”, mise definitivamente le tende in Europa legandola sé con la NATO e usandola militarmente alla bisogna.
In particolare la politica estera americana ha riservato ad un Paese povero, arretrato, raso al suolo dai bombardamenti e politicamento passivo come il nostro un ruolo puramente servile e strumentale ai suoi interessi combattendo in modo vile e sanguinario il fenomeno comunista che cercava di tener testa al potere fascio-economico sopravvissuto perché funzionale ai suoi interessi sull’area del Mar Mediterraneo che consistevano primariamente nell’isolare il blocco del Patto di Varsavia e l’Unione Sovietica dall’Europa occidentale in particolare quest’ultima è sempre stata considerata dagli USA come sua diretta antagonista sia sul piano militare che economico.
Il boom economico realizzato dall’infaticabile Enrico Mattei era stato uno schiaffo agli alleati che non volevano che l’Italia uscisse dallo stato di arretratezza e sottosviluppo e quindi assumere un ruolo politico ed economico attivo ed indipendente nell'ambito della NATO. Il patrimonio realizzato da Enrico Mattei con il lavoro e le risorse pubbliche è ormai andato perduto attraverso una gestione parassitaria e criminale di una classe politico/economica che ha sperperato il frutto di sacrifici e di lavoro della generazione postbellica e che sta riportando il nostro Paese allo stato di arretratezza e di povertà del periodo fascista.
Ma torniamo alla nostra Costituzione. Il comunismo in Italia ha avuto la funzione di bilanciare la destra economica per questo abbiamo una Carta dei diritti così illuminata infatti è stata il risultato di scontri tra mentalità diverse che uscite dalla tragedia del conflitto hanno trovato dei punti di intesa tra una visione egoistica e le esigenze di una popolazione ignorante ed indifesa che andava protetta e sottratta agli arbitri di un sistema feudale.
La Repubblica democratica basata sul lavoro è sempre stato un concetto duro da digerire da Confindustria & C. fino ai nostri giorni: che fine facevano i dipendenti che lottavano all’interno delle imprese per ottenere quelle tutele previste dalla Costituzione?
Non avevo mai sentito parlare della Palazzina Laf fin quando una fiction aveva destato un vespaio di polemiche al punto che un operario dell’ex ILVA di Taranto era stato licenziato per aver pubblicato nel suo social la storia della famigerata Palazzina Laf, la struttura-lager in cui furono forzatamente relegati i dipendenti che non accettavano il cambio di mansione perché erano troppo sindacalizzati. Questo tipo di mobbing veniva consumato negli anni ’90 ma alla Fiat era già di moda negli anni ’50 a cura di Vittorio Valletta che praticò il mobbing sistematicamente e quotidianamente e forse anche sul piano fisico nei confronti degli operai-sindacalisti che si esponevano per reclamare condizioni di lavoro più umane. Questi veri e propri eroi senza nome sono stati i precursori del sindacalismo moderno che portò all’emanazione dello Statuto dei Lavoratori che porta il nome di Gino Giugni tutt’ora documento fondamentale per il lavoro dipendente.
Il miracolo economico portò un miglioramento generale e il fenomeno si attenuò e sembrò scomparire ma il germe di tale deviazione morale si assopì ma non si spense.
Il fenomeno si riaffaccia quando viene rimesso in discussione lo stato sociale; quando vengono meno le garanzie del lavoro attraverso una politica economica predatoria che usa il denaro pubblico per delocalizzare la produzione dove l’imprenditore piò ottenere un maggior profitto a danno dei lavoratori; quando un Parlamento indegno emana leggi che legalizzano lo sfruttamento attraverso rapporti di lavoro precari, mal pagati, privi di alcuna tutela e con prospettive future quasi nulle; quando i Sindacati curano gli interessi di categorie protette e ignorano coloro che avrebbero bisogno di maggior tutela perché hanno perduto la coscienza della loro missione che ha dato senso alla loro esistenza e attività sul territorio; quando il capitale diventa il fine e non il mezzo per promuovere lo sviluppo di una società più giusta e a misura dell’essere umano come cittadino e lavoratore.
Dopo "Mani pulite" si sono ricostituiti e ben organizzati altri poteri forti che hanno la stessa anima nera e gli stessi obiettivi e sono diretti in una direzione radicalmente opposta all’ interesse generale del Paese.
Anche se sono state emanate leggi che hanno arginanato il fenomeno del mobbing che lede la dignità del lavoratore se ci spostiamo negli anni ’90 lo ritroviamo attivo nell’ILVA di Taranto a cura della famiglia Riva e ha un nome preciso: la Palazzina Laf.
La vicenda della palazzina Laf ha inizio alla fine del '97 quando dodici dipendenti dell’ILVA vengono forzatamente confinati in una palazzina abbandonata e cadente completamente vuota, sono in gran parte lavoratori che svolgevano attività sindacali e che avevano rifiutato la proposta di lavorare con incarichi e qualifiche inferiori a quelle precedenti. Gradualmente i dodici divennero circa una settantina.
Dal '97, per oltre due anni, i lavoratori 'confinati' non hanno svolto alcuna attività lavorativa e per un certo periodo sono stati tenuti a casa col pagamento dello stipendio. Poi sono finiti in cassa integrazione, solo alcuni di loro intorno alla fine del 2010 sono stati riammessi al loro posto di lavoro insieme ad altri lavoratori che erano in cassa integrazione.
La storia viene alla luce per una serie di coincidenze e la Procura competente rinviava a giudizio la dirigenza dell’ILVA per violenza privata e frode processuale. La vicenda si è conclusa con la condanna in secondo grado di undici imputati tra i quali il presidente dell’ILVA Emilio Riva per tentativo di violenza privata; non c'è stata invece frode processuale: questa la sentenza, dopo otto ore di camera di consiglio.
Oggetto del processo: “Il trasferimento forzato nel '97, un chiaro caso di mobbing, di dodici dipendenti del centro siderurgico in una palazzina inutilizzata e priva di impianti di lavorazione”.
Emilio Riva, presidente del consiglio d'amministrazione dell'Ilva, Luigi Capogrosso, direttore dello stabilimento di Taranto, e un caporeparto, Antonio Bon, sono stati condannati a due anni e tre mesi di reclusione. Un altro caporeparto, Angelo Greco, è stato condannato a due anni. Claudio Riva, figlio di Emilio e amministratore delegato dell'Ilva, è stato assolto sia dall'accusa di tentativo di violenza privata sia da quella di frode processuale; da quest'ultima accusa sono stati assolti anche Emilio Riva, Capogrosso e Greco. Altri sette imputati, tutti capireparto, sono stati condannati a pene minori, a partire da nove mesi di reclusione. Durante il processo, una parte dei settanta lavoratori ha subito danni psicologici e persino fisici per le condizioni vessatorie subite.
È proprio vero che chi nasce tondo non può morire quadrato, per chi avesse dei dubbi lo dimostra la condanna emessa nel 2021 a carico dei due figli del “bonus pater familias” - 20 e 22 anni di galera - per disastro ambientale ed altro.