Il 25 Aprile si festeggia la ricorrenza della Liberazione dell’Italia dall’oppressione nazi-fascista, un periodo purtroppo ancora nebuloso e confuso, in quanto coperto da una cappa storiografica, di natura partitica.
Un momento storico doloroso e divisivo, per il tipo di lotta fratricida che ha sconvolto il centro ed il nord Italia, dal’8 settembre del 1943 fino alla fine della guerra ed anche oltre.
Un lato “oscuro” di questo periodo è stato sicuramente quello del ruolo femminile nella lotta di liberazione, si parla infatti di una “resistenza taciuta”, nel senso che per moltissimi anni gli storici hanno silenziato il ruolo delle donne.
Il ruolo femminile, nella società occidentale, aveva avuto un primo scossone già durante il periodo della prima guerra mondiale, dove, a causa della mancanza di uomini, impegnati a combattere sul fronte, molti ruoli prettamente maschili cominciarono ad essere ricoperti da donne.
E’ questo l’inizio dell’evoluzione da una visione di donna ottocentesca, custode del focolare e dei figli, ad una più moderna, di donna emancipata rispetto al dominio maschile.
Una nuova scossa alla visione femminile la diede la seconda guerra mondiale e soprattutto la guerra partigiana che impegnò uomini e donne insieme in un moto volto a liberare l’Italia occupata dalle truppe di occupazione naziste e dal regime fascista, risorto con la Repubblica Sociale.
“Dopo la fine della guerra, direi a partire dal 1948, c’è stato una specie di silenzio generale sulla resistenza femminile”, afferma la storica Simona Lunadei, autrice di molti testi sull’argomento, tra cui Storia e memoria. Le lotte delle donne dalla liberazione agli anni 80. “Questo perché si cercò di normalizzare il ruolo delle donne, che proprio durante la guerra avevano sperimentato un’emancipazione di fatto dai ruoli tradizionali” (cit. Il ruolo rimosso delle donne nella resistenza. di Annalisa Camilli su Internazionale 25/4/19)
Le donne parteciparono alla liberazione con ruoli principalmente di natura logistica, le famose “staffette” , ragazze che si occupavano di portare materiali bellici o di sussistenza e che hanno pagato in molti casi questo loro impegno, altre invece hanno combattuto a fianco dei nuclei combattenti imbracciando le armi.
Ed è proprio l’imbracciare le armi delle donne, il diventare portatrici di morte, loro, simbolo di portatrici della vita che sicuramente ha sconvolto la logica antropologica maschile.
Così, al momento del rientro alla normalità, soprattutto ad opera dell’intellighenzia del PCI che aveva una visione molto conservatrice della società, dove solo l’uomo poteva essere il guerriero, è calata la cappa del silenzio.
E così il sacrificio, dal 43 al 45, di circa 4.500 ragazze arrestate e nella maggior parte dei casi torturate e stuprate e di 623 fucilate, impiccate o cadute in combattimento e circa 3.000 deportate in Germania è stato riconosciuto solo molto in ritardo, tranne rare eccezioni.
Una mitologia resistenziale, oggi riveduta, soprattutto ad opera di storici indipendenti, è stata quella che la Liberazione fu principalmente una lotta di proprietà delle forze di sinistra e soprattutto una lotta condotta e guidata dalle brigate Garibaldi, legate direttamente al PCI di Longo e Secchia.
Il monopolio che ha assunto l’ANPI sulla Resistenza ed il suo schieramento partitico non hanno permesso di poter fare la chiarezza necessaria su quel periodo, per comprendere fino in fondo la realtà di quella lotta fratricida ed impedendo così di eliminare la mitologia per far posto alla storia.
Il PLI infatti con la figura di Leone Cattani, sarà il primo segretario del partito, fece parte fin da subito del CLN, Comitato di Liberazione Nazionale, con l’accordo di Milano del 4/7/43 tra tutti i partiti.
Egli in un articolo scritto sul “Risorgimento Liberale”, giornale liberale clandestino, dichiarò che l’intento della resistenza doveva essere una lotta per una società democratica ma anche e soprattutto libera.
Per cui il PLI ebbe come sua finalità principale l’abbattimento del totalitarismo fascista al fine di creare uno stato che ponesse il diritto alla libertà prima di tutto e contro ogni pretesa oligarchica o statalista.
Diverse furono le organizzazioni militari legate al PLI ma sicuramente la più importante fu quella di Edgardo Sogno con l’Organizzazione Franchi, suo nome di battaglia, che ricevette anche lui un indispensabile contributo logistico dalle reti aristocratiche antifasciste, nelle quali le donne, appunto, giocarono un ruolo da protagoniste, soprattutto nel trasporto di tutto ciò che era utile per sostenere lo sforza bellico.
La giovane storica della resistenza e del movimento politico liberale, Rossella Pace, compie una doppia fatica di di-svelamento di quella realtà storica, nel suo testo “Partigiane liberali” da un lato presentando la viva partecipazione del PLI alla lotta di liberazione ed alla costruzione di una nuova Italia e dall’altro parlando in quel contesto delle donne liberali e del ruolo che hanno avuto, combattendo a fianco ai propri uomini.
«Quando nel lontano 1972 mi iscrissi alla gioventù liberale» mi rivela Patrizia Falsitta, Presidente PLI di Milano, vicepresidente regionale Lombardia e consigliere nazionale, mentre scriviamo assieme: «lo dissi subito a mia nonna Emilia, in quel momento era in salotto tra le sue amiche e mi rivelarono la loro partecipazione attiva alla resistenza, come mogli di liberali a Milano ed una in Piemonte. Da quella conversazione e dalla conoscenza di Tommaso Gallarati Scotti, cliente ed amico di mio padre, figura principale della resistenza milanese, è nata la passione per conoscere il contributo e l’impegno delle donne liberali durante la Liberazione.»
La storia della Repubblica Italiana ha nella lotta contro l’occupazione nazista ed il regime fascista il suo punto di partenza.
Un grande pregio dei padri costituenti aver ricomposto una nazione disunita e divisa da una pesante lotta fratricida, dove rancori e vecchie discordie si erano affrontate lasciando dietro di se una scia di sangue profonda.
Il PLI ha sempre saputo mantenere ferma la barra del comando nel CLN per contrastare la pretesa di alcuni di raggiungere fini diversi da quelli della libertà e la democrazia.
Onore a tutti quegli uomini e quelle donne che hanno permesso con il loro sacrificio personale di vivere oggi in un paese libero e democratico e raccogliamo da loro l’invito ad essere vigili sui temi, per cui tanti hanno perso la loro giovane vita.
(Articolo scritto a due mani di Patrizia Falsitta e Giuseppe Vignera)