Il Programma per la valutazione internazionale dello studente (Programme for International Student Assessment, meglio noto con l'acronimo PISA) è un'indagine internazionale promossa dall'OCSE.

Lo scopo di tale indagine? Valutare con periodicità triennale il livello di istruzione degli adolescenti dei principali paesi industrializzati.

I risultati, pubblicati in questi giorni, dell'ultimo test effettuato nel 2018 su un campione di 1100 studenti in rappresentanza di oltre 500mila indicano i ragazzi italiani in netta ripresa nel campo della matematica ed in linea con la media OCSE, mentre per quanto riguarda la lettura la valutazione crolla di ben dieci punti sotto la media degli altri Paesi e ancora peggio le cose vanno nel settore delle scienze.

Naturalmente, si tratta di un test a cui, probabilmente, non tutti gli studenti e non tutti i professori hanno dato la necessaria importanza. È un fattore da considerare. Fatta la doverosa premessa non vanno però sottovalutati i risultati, nel complesso negativi.

Secondo Raffaela Milano, Direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children, «i nuovi dati Ocse-PISA ci trasmettono una fotografia impietosa della povertà educativa in Italia e mettono in luce la crisi del sistema di istruzione e l'incapacità del sistema scolastico di contrastare e superare le disuguaglianze educative.

I risultati scolastici dei nostri studenti, che soprattutto in lettura e scienze peggiorano rispetto al passato, continuano ad essere profondamente segnati da ampi divari di carattere territoriale, sociale e di genere, e questo non fa che tradursi in difficoltà e ostacoli che i giovani si troveranno inevitabilmente davanti al momento di affrontare la vita quotidiana e costruirsi il futuro al quale hanno diritto.

Un quadro cupo cui c'è da aggiungere il forte rischio che anche i migliori perdano la fiducia e la speranza nell'istruzione come perno per migliorare la propria condizione, visto che tra gli studenti svantaggiati con alto rendimento, solo 3 su 5 si aspettano di completare l'istruzione terziaria, mentre, tra quelli socio-economicamente avvantaggiati con alto rendimento il rapporto sale a 7 su 8.

Particolarmente allarmanti i dati sulle differenze territoriali, con il doppio degli studenti che, al sud, non raggiunge le competenze minime in matematica, nettamente minori rispetto ai coetanei del nord.

Allo stesso modo, forte preoccupazione desta anche il fatto che nel nostro Paese 1 studente su 4 non raggiunge le competenze minime in scienze: una disciplina che dall'analisi svolta nel recente Atlante dell'Infanzia (a rischio) di Save the Children emerge come una priorità educativa, per attrezzare i giovani a costruire una società più sostenibile, nell'ottica della necessità di un nuovo governo dei rischi ambientali.

Inoltre, le aspettative di carriera degli studenti quindicenni con i risultati più elevati rispecchiano forti stereotipi di genere. In un Paese in cui il divario di genere in matematica è più del doppio della media Ocse, tra gli studenti con alto rendimento in matematica o scienze, circa un ragazzo su quattro in Italia prevede di lavorare come ingegnere o professionista scientifico all'età di 30 anni, mentre si aspetta di farlo solo una ragazza su otto. E molto marcata, infine, è anche la differenza tra i licei, gli istituti professionali e quelli della formazione professionale, per i quali è urgente prevedere un rafforzamento.

È necessario che questi dati siano alla base di un'azione di governo decisa e di lungo periodo che dia valore alla scuola e, più in generale, ai percorsi educativi, a partire dagli asili nido nei contesti di maggiore svantaggio. Riteniamo inoltre indispensabile, in un Paese come l'Italia profondamente segnato dalle diseguaglianze, fare in modo che i dati Ocse PISA siano disponibili per ogni regione, mentre invece in questa rilevazione solo la Toscana, la Sardegna e le province di Trento e Bolzano hanno provveduto ad integrare il campione della rilevazione per riuscire ad avere una lettura territoriale dei dati.»


Ma tali dati sono da considerarsi realmente così sorprendenti? In fondo non così tanto a guardare i dati Ocse-Piaac del 2016 relativi al cosiddetto analfabetismo funzionale che, in Italia, riguarda il 27,9% dei cittadini tra i 16 e i 65 anni.

Il termine analfabetismo funzionale, o illetteratismo, indica - come descritto da Wikipedia - l'incapacità di usare in modo efficace le abilità di lettura, scrittura e calcolo nelle situazioni della vita quotidiana e si traduce quindi in pratica nell'incapacità di comprendere, valutare e usare le informazioni incontrabili nell'attuale società.