Un dolore che non passa, sintomi vaghi e mutevoli, un pellegrinaggio tra specialisti senza risposte. Per milioni di pazienti in tutto il mondo, il percorso verso una diagnosi corretta assomiglia a un labirinto. Quello che spesso sfugge, però, è il prezzo umano ed economico degli errori diagnostici, un tema ancora sottovalutato nonostante i numeri allarmanti. A portarlo alla luce è il recente rapporto dell'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) “The Economics of Diagnostic Safety”, che calcola l'impatto di queste criticità sui sistemi sanitari e sulla società.
Secondo l'OCSE, nei Paesi membri fino al 15% delle diagnosi è errato o arriva in ritardo, con conseguenze drammatiche: terapie inefficaci, progressione silenziosa delle malattie, vite compromesse. Ma non è solo una questione clinica. Il peso economico di questi errori raggiunge il 17,5% della spesa sanitaria totale, pari a circa l'1,8% del PIL dei Paesi OCSE. Un “buco nero” che divora risorse preziose, destinabili invece a prevenzione, ricerca o personale.
Eppure, invertire la rotta è possibile. Secondo il rapporto, dimezzare gli errori diagnostici permetterebbe di risparmiare fino all'8% della spesa sanitaria annuale, oltre 676 miliardi di dollari a livello globale. Una cifra che potrebbe finanziare tecnologie avanzate, formare medici e ridurre le liste d'attesa.
Gli errori diagnostici non sono tutti uguali. L'OCSE li divide in tre categorie:
- Sovradiagnosi: individuare malattie che non si manifesterebbero mai, come alcuni tumori a crescita lenta, portando a trattamenti invasivi e inutili.
- Sottodiagnosi: ignorare o minimizzare patologie, come disturbi psichiatrici o il Long COVID, ritardando cure essenziali.
- Diagnosi errata: scambiare una malattia per un'altra, esponendo i pazienti a terapie dannose.
Le vittime principali? Malattie complesse e “silenziose” come sepsi, problemi cardiovascolari nei giovani o patologie rare.
Il rapporto rivela un paradosso: chi ha meno risorse economiche rischia maggiormente la sottodiagnosi, per la difficoltà di accedere a specialisti o esami. Al contrario, chi può permettersi visite multiple cade più facilmente nella trappola della sovradiagnosi, spinto da una medicina difensiva e tecnologica, ma non sempre accurata.
Tra le cause principali, l'OCSE cita la complessità crescente della medicina, la frammentazione delle cure e la pressione sui professionisti, costretti a decidere in tempi strettissimi. A questo si aggiunge una formazione medica spesso focalizzata sulle malattie più che sulle persone, con scarso spazio alla gestione dell'incertezza.
Il rapporto non si limita a denunciare il problema, ma avanza proposte concrete:
- Formazione continua sui limiti della diagnostica, con l'errore visto come occasione di crescita;
- Coinvolgimento attivo dei pazienti, informati sui rischi di esami superflui o mancati;
- Tecnologie digitali e AI, da integrare con validazioni rigorose;
- Linee guida nazionali per uniformare test e comunicazione;
- Sistemi di monitoraggio trasparenti per correggere gli errori in tempo reale.
E l'Italia? Per il nostro Servizio Sanitario, già in affanno per carenza di personale e lunghe liste d'attesa, la sicurezza diagnostica è una priorità. Servono più tempo per l'ascolto del paziente, un potenziamento dell'assistenza territoriale e una valorizzazione della medicina generale.
Come sottolinea l'OCSE, migliorare l'accuratezza diagnostica non è solo una questione di competenza medica, ma di visione sistemica. Serve un impegno condiviso tra istituzioni, professionisti e cittadini. Perché, come conclude il rapporto, “una diagnosi corretta salva vite, riduce i costi e restituisce fiducia nel sistema”. Un obiettivo che non può più attendere.