di Lucia De Sanctis

 

Il professor Vincenzo Musacchio tra i massimi esperti del fenomeno mafioso ai nostri microfoni così si è espresso: “È una provocazione mirata. Non va sottovalutata”. “La sua affermazione ha lo scopo di marcare il territorio”. Il messaggio è: “A Corleone ci sono ancora i Riina”. “Ci sono troppi segnali negativi”. “Nei giorni scorsi le minacce di morte a Claudia Caramanna magistrato minorile palermitano che si occupa di allontanare i figli dei mafiosi dalle influenza negative delle famiglie”. “Poi lo sfregio alla lapide in memoria di Antonino Caponnetto a Firenze”.  “È un brutto momento”.

Professore cosa ci dicono questi segnali?

Che tira una brutta aria per l’antimafia. Sfregiare la lapide di Antonino Caponnetto, infangare la memoria di Cesare Terranova, minacciare magistrati che vanno a colpire mafia e mafiosità, non sono solo una provocazione ma rappresentano anche un segnale di presenza mafiosa sul territorio. Come a voler dire noi ci siamo ancora!

Perché lanciare simili segnali? 

Per marcare il territorio. Le dinamiche mafiose all’interno di simili contesti sono messaggi subliminali che non sono da sottovalutare. Il controllo del territorio resta ancora una prerogativa mafiosa necessaria.

Come occorre replicare a simili atteggiamenti mafiosi?

Con prese di posizione e comportamenti chiarissimi e concreti. Sono fermamente convinto che l'educazione alla legalità resti il miglior antidoto contro la mafia e la mafiosità. Informare, sensibilizzare, stimolare alla giustizia ed alla verità, operare in modo che alle parole seguano fatti concreti, questo è quello che va fatto per reagire a tali atteggiamenti mafiosi. Continuiamo a tenere alta l’attenzione, ad informare e a formare le nuove generazioni.

I cittadini sembrano interessarsi sempre meno di questi fenomeni criminali, lei come se lo spiega?

Parlare di mafia in Italia è diventato difficile. Negli ultimi anni, le mafie hanno archiviato i metodi criminali violenti e hanno deciso di lavorare “in modo occulto”, mimetizzandosi, stabilendo una sorta di patto di pace, costituendo anche alleanze e collaborazioni, realizzando vere e proprie holding imprenditoriali. Per reagire a queste metamorfosi bisogna parlare ai giovani andando a trovarli nelle scuole e spiegando loro come sono le nuove mafie. E’ un percorso molto difficile e di lungo periodo perché richiede tempo, pazienza e dedizione: i risultati tuttavia si riscontrano dopo alcuni anni.

Non è che stiamo rischiando di tornare al passato?

Sì. Se non reagiremo ci faremo ricacciare indietro in quel periodo storico con cui abbiamo convissuto per anni. Credo, purtroppo, che la lotta alle mafie si sia fermata al maxiprocesso di Palermo che ad oggi resta l’ultimo esempio di come si possa sconfiggere la criminalità organizzata. I veri servitori dello Stato che si sono sacrificati per combatterla, purtroppo, sono tutti morti perché lo Stato, o meglio una parte di esso, non ha voluto la lotta alle mafie ma ha preferito la connivenza. Non dobbiamo assolutamente abbassare la guardia, non dobbiamo sottovalutare certi fenomeni criminali che riguardano i nostri territori. Alla mafia e alla mafiosità bisogna reagire subito altrimenti il veleno iniettato risulterà letale.

A proposito di Corleone, simbolo di Cosa Nostra degli anni passati, possiamo dire che il paese si sia demafiosizzato?

Questo non posso dirlo perché non vivo quella realtà. Ricordo soltanto che quando è stata chiesta la cittadinanza onoraria a mio nome per la mia attività antimafia ultratrentennale al fianco di uomini come Antonimo Caponnetto mi fu risposto che quello che io facevo non era certificato! Oggi sono Cavaliere della Repubblica al Merito e appartengo alla generazione che ha vissuto il periodo stragista e sentire quella risposta mi ha fatto comprendere che l’impegno per ricostruire la vera antimafia deve essere concreto e portato avanti nella massima unità di tutte le anime della società civile.

Lei pensa che oggi Corleone le darebbe la cittadinanza onoraria?

Onestamente non è questo che mi interessa. Il periodo in cui fu chiesta peraltro era un momento critico della storia del paese, quell’amministrazione comunale poi fu sciolta dal prefetto per condizionamenti mafiosi. Oggi mi dicono che ci sia un Sindaco giovane che ha subito reagito alla provocazione di Riina junior e questo mi fa molto piacere. Chi fa antimafia, e io la pratico da oltre trent’anni, non si aspetta nulla, lo fa per semplice spirito di servizio sociale.

Vincenzo Musacchio, docente di strategie di lotta alla criminalità organizzata transnazionale, associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Ricercatore indipendente e membro dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra.