Lo prometteva da tempo Matteo Renzi e lo ha ribadito nel momento del trionfo alle primarie del Partito Democratico: il suo programma  sarà il risultato del dialogo con i cittadini. Bello per chi con fiducia lo ha votato, ma anche per coloro che hanno preferito uno degli altri candidati o che ai gazebo non sono ritornati.

Il progetto di un “nuovo inizio” improntato al confronto dialogico piuttosto che alla rivincita è positivo e stimolante comunque la si pensi. Inorgoglisce i seguaci di Renzi, certo, ma può risvegliare dal letargo anche il più rassegnato degli astensionisti. Il desiderio di partecipazione, soffocato dalla rabbia, o dalla nausea, nei confronti della politica indifferente e ottusa ai loro bisogni, anche in queste persone, rimaste finora insensibili perfino alla fascinazione grilliana, potrebbe prendere il sopravvento.

Se la democrazia è partecipazione è vero anche il contrario e di democrazia non ce n’è mai abbastanza. Indicare il dialogo con i cittadini come metodo del buon governo è un merito in sé. Riconoscerlo è doveroso anche se a conquistarselo è un nostro avversario.

Al nuovo approccio di Matteo Renzi quindi dovremmo essere grati tutti, compresi i poco intenzionati a tradurre la gratitudine in un voto per il PD o PdR che dir si voglia. Il pluralismo delle piattaforme, la concorrenza fra Bob e Rousseau non possono che migliorare l’offerta dei programmi in vista delle prossime elezioni.

Il dialogo, nella politica, nella diplomazia, nella quotidiana vita relazionale, è una pratica preziosa, irrinunciabile. Poco importa se sia Renzi o un altro a proporlo, se l’idea sia originale o meno.

Importa invece, e tanto, che non si faccia passare per dialogo ciò che nelle intenzioni di chi lo propone altro non è se non un tentativo bene architettato di manipolazione delle altrui menti. I colti di oggi chiamano queste operazioni populiste, quelli di ieri demagogiche, ma non ci si può sbagliare: il concetto è quello e dobbiamo difendercene con tutte le nostre forze. La democrazia, lo si è detto, non è mai abbastanza, la demagogia è sempre troppa.

Porsi qualche dubbio sulle intenzioni di Matteo Renzi non vuol dire affatto collocarsi tra i sostenitori del principio andreottiano per cui “a pensar male si fa peccato ma ci si azzecca”. Un dubbio non è un’illazione. L’uno apre un cammino di conoscenza, l’altra sostituisce la furbizia all’intelligenza e non è un bene.

Proviamo allora, da cittadini intelligenti quali siamo, a ragionare sui motivi per cui, ascoltando la promessa di Matteo Renzi, il dubbio è sorto spontaneo.

Prima di andare avanti, occorre anche qui una premessa condivisa e cioè una visione comune di che cosa debba intendersi per dialogo. Senza scomodare i sofisti o i socratici, possiamo tutti essere d’accordo che un dialogo è tale se i suoi protagonisti si rispettano, si ascoltano reciprocamente e sono disponibili a capire ognuno il punto di vista dell’altro prima di condividerlo o confutarlo. Insomma è dialogo un conflitto dialettico tra persone mosse dal desiderio di trovare un punto di convergenza e non già la leva per prevalere sull’altra o addirittura sopraffarla.

Questo propone il Segretario del PD?

Se cercassimo la risposta nella sua performance dialettica del passato, la questione sarebbe rapidamente risolta senza ulteriori dubbi. Le domande le risposte le obiezioni, lo dicono i fatti, Renzi se le è sempre (o quasi) poste date e mosse da solo. Se qualcuno ha osato discutere l’appropriatezza delle une o la congruenza delle altre, non gli ha parlato più e il dialogo è finito lì. Ne sanno qualcosa i pochi giornalisti che ci hanno provato, per non dire dei suoi compagni/amici/colleghi, quel che si vuole, e pure di qualche esponente del governo che non si chiamasse Angelino Alfano.

Afferma però Matteo Renzi di essere cambiato e i suoi fedelissimi, ma anche quelli che fino alle primarie non lo erano affatto, non perdono occasione per ricordarlo, sollecitando a giudicarlo sul presente o meglio ancora sul futuro (boh!) ma non sul passato se non per le “tante” cose buone che ha realizzato.

Le persone intellettualmente oneste, oltre che intelligenti, non possono non accettare di buon grado il suggerimento. Dunque, accantoniamo definitivamente il passato, i demeriti ma pure i meriti altrimenti  andiamo in confusione, e anche il futuro lasciamolo da parte, non essendo noi  tra quei privilegiati che nel futuro ci sono stati e che, per il nostro bene (questo è sicuro) anziché restarci, e goderselo tutto per loro, ne sono ritornati.

Per capire come Matteo Renzi intenda il dialogo con i cittadini non resta quindi che assumere come cartina di tornasole il suo presente.

Qui però i dubbi anziché sciogliersi si accavallano. Intanto buono chi capisce se il “nuovo inizio” è già partito o se lo “start” sia stato rimandato all’incoronazione di oggi. Se infatti fosse cominciato già prima, porterebbe ancora il profumo riconoscibilissimo del passato.

Tanto per dirne una e non la più significativa, è difficile considerare un invito al dialogo e non un ricatto il monito rivolto a Pisapia a proposito di D’Alema. È pur vero che il carattere è carattere e che D’Alema è D’Alema. Corra il tempo del “nuovo inizio” o quello della “rivincita”, se a sorpresa l’uno o l’altro salta fuori”, il disorientamento temporale è inevitabile. Pisapia, poi, non è uno qualsiasi, è un “compagno”. Ricorrere al suo esempio per misurare l’idea che Matteo Renzi ha del dialogo con i cittadini comuni sarebbe fuorviante.

Assai più rivelatore è invece il suo intervento a proposito della curiosa (demenziale?) legge sulla legittima difesa “notturna” votata dalla Camera.  Sentire le parole di Renzi e sostituire all’immagine di Paolo Gentiloni quella di Enrico Letta è stato un gioco facile per molti “social news” compreso il nostro. Ma non si tratta solo di questo. È peggio.

Come scrive Ugo Longhi nella sua “notizia” dell’altro ieri, la legge (per la quale Renzi da normale cittadino aveva mostrato un intenso e crescente interesse) difficilmente può essere sfuggita al preventivo controllo del Segretario del PD. Che peraltro c’è stato. Lo ha confermato David Ermini, relatore della “riforma”, dichiarando di avergliene letto per esteso al telefono la bozza definitiva.

Perciò, delle tre l’una: o Renzi ha anche lui problemi con la lingua italiana o non ha ascoltato ciò che gli è stato letto oppure ha sentito e capito benissimo e ciononostante ha dato scientemente la sua approvazione a una legge squinternata. Comunque sia andata, di certo nessun altro, neppure Andreotti, sarebbe stato capace di escogitare un rimedio più fantasioso e multifocale del suo: la timida scintilla nel “post” di un ragazzo per sbruciacchiare qualche irrispettoso collega  di partito, illuminare Bob ancora troppo in ombra, e infuocare l’alba (o il tramonto?) del nuovo inizio.

Tre ipotesi e una certezza, ognuna più sconcertante e chiarificatrice dell’altra per chiunque fosse stato ancora in dubbio se raccogliere oppure no l’invito al dialogo.

Inesorabile la conclusione. No, non si può dialogare con una persona che o non conosca bene la lingua che parla o non sappia ascoltare o approvi qualsiasi scemenza gli si proponga e ne faccia poi pagare soltanto agli altri le conseguenze. 

Niente di personale: solo precauzione o meglio ancora legittima difesa … da una trappola che se ci cadessimo dentro saremmo più ridicoli e patetici della riforma incriminata.

Con fiducia aspettiamo che anche il giovane Alessandro, smaltita la sbornia per l’insperata notorietà, raggiunga il medesimo convincimento, smettendo di rincorrere i “punti premio” di Bob e dedicandosi piuttosto ai punti “fragola” dei supermercati, se ai premietti non sapesse proprio resistere. Per ottenerli è sufficiente acquistare il prodotto, non ci si deve rompere la testa, o la schiena, per rivenderlo.