Matteo Salvini, galvanizzato dall’assoluzione nel processo Open Arms, sembra intenzionato a tornare sulla scena politica da protagonista. La sentenza, che lo ha sollevato dall’accusa di sequestro di persona per la vicenda della nave con i migranti bloccata al largo delle coste italiane, ha rilanciato le sue ambizioni: il leader della Lega vuole tornare al Ministero dell’Interno.

Un desiderio che, per essere realizzato, richiederebbe un mini rimpasto di governo. Salvini, attuale vicepremier, aspira a riprendere il controllo del Viminale, una posizione strategica che in passato gli ha garantito ampia visibilità mediatica e un ruolo centrale nella gestione delle politiche migratorie, tema da lui spesso utilizzato come cavallo di battaglia per consolidare il consenso elettorale.

La premier Giorgia Meloni si trova ora di fronte a un dilemma politico di non poco conto. Assecondare la richiesta di Salvini significherebbe non solo rafforzare un alleato di governo, ma anche concedergli una piattaforma privilegiata per rilanciare la sua immagine politica e risalire nei sondaggi. Tuttavia, questa scelta potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio.

Da una parte Salvini al Viminale potrebbe oscurare la leadership della stessa Meloni, sottraendole parte della centralità mediatica e politica che attualmente detiene.

D’altra parte, la Meloni potrebbe sfruttare questa occasione per liberarsi di una questione spinosa: il progetto dei centri per migranti in Albania, un’idea fortemente voluta dall’attuale governo, ma che rischia di diventare un boomerang. Le difficoltà logistiche e i costi elevati del piano – con risorse che potrebbero essere dirottate verso priorità più urgenti per i cittadini italiani – rappresentano un rischio significativo per l’esecutivo. Passare la “patata bollente” al leader della Lega potrebbe essere una mossa tattica per spostare eventuali responsabilità politiche su Salvini, senza esporsi direttamente.

Per Salvini, il ritorno al Viminale rappresenterebbe un’opportunità strategica per riprendere il controllo del dibattito sull’immigrazione, tema che gli ha consentito di ottenere ampio consenso durante il primo governo Conte. Con il suo stile diretto e le politiche di chiusura dei porti, il leader leghista aveva saputo polarizzare l’opinione pubblica e catalizzare il sostegno della sua base elettorale. Ora, libero dall’ombra dell’inchiesta giudiziaria, mira a recuperare lo smalto perduto e a rilanciare la Lega in un momento in cui il partito sembra in difficoltà nei sondaggi.

Se la Meloni decidesse di accontentare Salvini, il rimpasto dovrebbe prevedere una ricollocazione dell’attuale ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, in un altro incarico. Una mossa del genere potrebbe generare tensioni all’interno della coalizione, soprattutto considerando il delicato equilibrio tra le diverse anime del centrodestra. Inoltre, un eventuale ritorno di Salvini al Viminale aprirebbe inevitabilmente nuove sfide politiche, sia a livello nazionale che europeo, considerando le sensibilità di Bruxelles sul tema dell’immigrazione.

La partita politica che si sta giocando tra Salvini e Meloni è di grande importanza per gli equilibri del governo. Se da un lato il leader della Lega vede nel Viminale una chiave per rilanciare la sua leadership, dall’altro la premier deve ponderare attentamente le conseguenze di una decisione che potrebbe ridisegnare il peso politico dei suoi alleati. Mentre l’Italia continua a confrontarsi con l’emergenza migranti e con le difficoltà economiche, questa manovra interna al centrodestra potrebbe avere ripercussioni significative sulla stabilità e l’efficacia dell’esecutivo nei prossimi mesi.