Uno studio pubblicato su Nature Climate Change lancia un grido d'allarme senza precedenti: nel biennio 2023-2024, gli oceani del pianeta hanno registrato quasi 3,5 volte più giorni di ondate di calore marine rispetto a qualsiasi altro anno della storia moderna. Questo fenomeno, amplificato dal cambiamento climatico e dal recente evento El Niño, sta causando danni irreversibili agli ecosistemi marini, all'economia globale e alla sicurezza delle comunità costiere.  

Secondo la ricerca, quasi il 10% degli oceani ha raggiunto temperature record negli ultimi due anni, innescando una serie di disastri a catena. Le ondate di calore marine non sono solo un problema ambientale: hanno un costo umano ed economico devastante. In Perù, ad esempio, lo spostamento delle acciughe causato dal riscaldamento delle acque ha portato alla chiusura della pesca commerciale nel 2023 e 2024, con perdite stimate in 1,4 miliardi di dollari. In Nuova Zelanda, il ciclone Gabrielle – alimentato da temperature marine anomale – ha ucciso 11 persone e provocato danni per oltre 8 miliardi di dollari.  

Non meno drammatico è il caso della Libia, dove nel 2023 le piogge estreme della tempesta Daniel, rese più intense dal calore degli oceani, hanno distrutto la diga di Derna, causando 6.000 vittime e il più letale evento alluvionale mai registrato in Africa.  

Gli scienziati sottolineano che gli oceani svolgono un ruolo insostituibile nel regolare il clima, ospitare la biodiversità e sostenere miliardi di persone attraverso la pesca e l'acquacoltura. Tuttavia, l'aumento delle temperature sta compromettendo queste funzioni vitali. Nel 2023-24, le ondate di calore hanno provocato:  

  • Il quarto evento globale di sbiancamento dei coralli, minacciando il 25% della vita marina che dipende dalle barriere.  
  • Spiaggiamenti anomali di balene e delfini, legati allo stress termico e alla fuga di prede.  
  • Eventi meteorologici estremi sulla terraferma, tra cui inondazioni e ondate di calore atmosferiche letali.  

Sebbene El Niño abbia esacerbato la crisi recente, i dati sono chiari: tra il 2011 e il 2021, il cambiamento climatico di origine antropica ha già aumentato del 50% la frequenza delle ondate di calore marine. Se le emissioni di gas serra continueranno ai ritmi attuali, entro fine secolo questi eventi potrebbero diventare da 20 a 50 volte più frequenti e dieci volte più intensi.  

Gli autori dello studio sono categorici: senza un'inversione di rotta immediata, il collasso degli oceani sarà inevitabile. La soluzione passa dalla transizione energetica. Sostituire petrolio, carbone e gas con fonti rinnovabili non è più una scelta, ma un'urgenza per proteggere la vita marina, stabilizzare il clima e garantire la sopravvivenza delle comunità costiere.  

"Il tempo delle mezze misure è finito", avvertono i ricercatori. "Ogni decimo di grado di riscaldamento evitato può fare la differenza tra un oceano vivente e un oceano morente".  

Le ondate di calore marine sono un termometro del pianeta: riflettono l'impatto di decenni di sfruttamento incontrollato delle risorse. La finestra per intervenire si sta chiudendo, ma gli scienziati ricordano che alternative concrete esistono. La domanda ora è: saremo in grado di ascoltare l'allarme degli oceani prima che sia troppo tardi?