Khalil al-Hayya non è uno qualunque all'interno di Hamas, tanto da aver ricoperto un ruolo di primo piano nei negoziati per il cessate il fuoco a Gaza. Quindi, quanto detto da lui alla Associated Press in una intervista rilasciata a Istanbul non può ritenersi privo di rilievo.
Al-Hayya ha affermato che la brigata al Qassam, l'ala militare di Hamas, è disposta ad accettare una tregua di cinque anni o più con Israele e a deporre le armi nel caso nasca uno Stato palestinese indipendente lungo i confini precedenti al 1967. Hamas accetterebbe di far parte dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina, che adesso è una specie di contenitore che coordina le varie fazioni palestinesi in Cisgiordania, per formare un governo unificato per Gaza e i Territori Occupati, per arrivare alla creazione di uno Stato palestinese pienamente sovrano dove possano ritornare i profughi in conformità con le risoluzioni internazionali.
Una dichiarazione sorprendente? Non tanto, perché è quanto da tempo alcuni sostengono in relazione al nuovo statuto che Hamas ha reso noto nel 2017 e di cui i media non parlano perché non utile alla propaganda pro Israele.
Il nuovo statuto è stato analizzato in uno studio pubblicato nel 2020 da Khaled Hroub, professore di Studi mediorientali alla Northwestern University del Qatar e ricercatore del Centro per gli studi islamici dell'Università di Cambridge. Secondo Hroub, a differenza dello statuto del 1988 «in cui prevalevano una vaga retorica religiosa e stravaganti dichiarazioni utopiche», il nuovo documento «mostra una certa flessibilità, lasciando delle zone grigie che consentono ad Hamas un margine di manovra politico per il futuro».In generale il testo del nuovo statuto ha un'impostazione meno netta nei confronti dell'eliminazione dello Stato di Israele e dei suoi abitanti. Il nemico viene identificato (art. 16) nel sionismo e non più nell'ebraismo: «Hamas non lotta contro gli ebrei perché sono ebrei, ma lotta contro i sionisti che occupano la Palestina». Lo statuto non riporta più citazioni religiose che accennano allo sterminio degli infedeli, e all'articolo 17 ripudia la persecuzione per motivi nazionalistici o religiosi, ritenendo che «l'antisemitismo e la persecuzione degli ebrei sono fenomeni legati alla storia europea e non alla storia degli arabi e dei musulmani».Israele viene definito (art. 14) «il giocattolo del progetto sionista e la sua base di aggressione» e Hamas rifiuta (art. 20) «qualsiasi alternativa alla piena e completa liberazione della Palestina, dal fiume al mare». Ma allo stesso articolo 20 dello statuto si legge la seguente frase: «Hamas considera la creazione di uno Stato palestinese pienamente sovrano e indipendente, con Gerusalemme come capitale sulla falsariga del 4 giugno 1967, con il ritorno dei rifugiati e degli sfollati alle loro case da cui sono stati espulsi, come una formula di consenso nazionale». Il 5 giugno 1967 è la data di inizio della Guerra dei sei giorni, in cui Israele ha conquistato gran parte dei territori della Cisgiordania e Gerusalemme Est. Secondo Hroub, questa posizione riflette «il consenso interno del movimento sulla formula dei due Stati» e ha come sottotesto «che Hamas acconsente a una soluzione politica che potrebbe portare a uno Stato palestinese realizzabile». Nel suo libro Storia del conflitto israelo-palestinese (Laterza), lo storico Claudio Vercelli ha commentato il documento del 2017, scrivendo che la «considerazione» di uno Stato palestinese delimitato a una sola parte dell'area sarebbe solo «una tappa intermedia nel cammino verso la “liberazione” di tutto il territorio, non riconoscendo dunque a Israele il diritto all'esistenza né dichiarandosi esplicitamente contro il prosieguo degli atti terroristici». Anche secondo Petrelli, nonostante i toni più moderati nel nuovo statuto, non ci sono reali aperture da parte di Hamas verso la formula “due popoli, due Stati”. (Pagella Politica)
Alla notizia precedente, se ne è aggiunta un'altra che dà qualche speranza per un possibile spiraglio per un cessate il fuoco duraturo a Gaza.
L'Egitto ha presentato ai vertici del Mossad e dello Shin Bet una proposta per arrivare ad un cessate il fuoco completo per un anno in cambio della cessazione di qualsiasi attacco contro Israele. La proposta, che verrà presentata domani in Israele, è stata architettata dal capo dell'intelligence egiziana, il maggiore generale Abbas Kamel, ed è composta da tre parti interconnesse tra loro.
La prima parte del piano prevede che Israele si impegni a fermare tutti i preparativi per entrare a Rafah. La seconda è il rilascio di tutti i prigionieri israeliani in due fasi, in un intervallo di 10 settimane. Da notare che l'Egitto non ha specificato il numero dei prigionieri, ma ha chiarito che “tutti gli ostaggi” sarebbero stati liberati in cambio del rilascio di centinaia di prigionieri palestinesi. Secondo le anticipazioni, Hamas chiede il rilascio di 50 prigionieri per ogni soldato rapito e di 30 prigionieri per ogni civile. La terza parte prevede un cessate il fuoco completo per un anno, con l'impegno di Israele e Hamas a non sparare o usare armi a terra o in aria. Durante il cessate il fuoco verrà annunciata l'attuazione delle misure per stabilire uno Stato palestinese.
Il piano avrebbe l'appoggio di Stati Uniti, Egitto, Giordania e Autorità Palestinese, con quest'ultima che ne sponsorizzerà l'attuazione. I direttori di Shin Bet e Mossad ne sono stati informati ieri al Cairo, dove non hanno rilasciato commenti, limitandosi a dire che l'avrebbero illustrata al gabinetto di guerra.
Hamas avrebbe chiesto all'Egitto di ottenere una garanzia da parte degli Stati Uniti e della comunità internazionale per costringere Israele a non violare i patti a seguito dell'accettazione.
Potrà Netanyahu accettare una simile proposta che lo indebolirebbe politicamente, visto che l'unico sostegno alla sua permanenza in carica come premier è una guerra permanente contro i palestinesi? Difficile crederlo, anche se l'immaginabile crisi economica che colpirebbe lo Stato ebraico con la totale assenza di turisti per la prossima estate, sarebbe probabilmente impossibile da gestire anche per uno come lui.