Il ministro dell'Interno Matteo Salvini, teorico, organizzatore ed esecutore del tentativo di respingimento dei migranti in mare, ieri sera aveva commentato in questi termini la decisione di un magistrato che aveva scarcerato la comandante della Sea-Watch 3, Carola Rackete, praticamente scagionandola dalle accuse che le erano state mosse:

"Disubbidire a leggi dello Stato, attaccare, speronare, rischiare di ammazzare militari Italiani non vale la galera. E questa sarebbe giustizia?Sono indignato, sono schifato ma non mi arrendo: restituiremo onore, orgoglio, benessere, speranza e dignità alla nostra Italia, costi quello che costi".

Dichiarazioni come al solito inappropriate, per merito e forma, in generale e ancor di più in bocca ad un ministro. Ma l'insensatezza del personaggio, privo di qualsiasi rispetto, se non di conoscenza, del dettato costituzionale, nelle ore successive gli ha poi fatto aggiungere:

"Urge riformare la giustizia, selezionare e promuovere chi la amministra in Italia e cambiare i criteri di assunzione, perché questa non è la giustizia che serve a un Paese che vuole crescere".

In pratica secondo quel ministro, incommentabile sotto qualsiasi punto di vista, la giustizia dovrebbe essere subordinata al volere della politica, alla convenienza di chi guida il Paese.

A creare sconforto, più delle affermazioni sconclusionate di Salvini, è il fatto che un ministro si senta in diritto di poterle fare.

In ogni caso, finché in Italia esiste ancora una democrazia che riconosce la divisione dei poteri tra chi fa le leggi e chi le applica, vale ciò che il Gip di Agrigento ha riconosciuto a Carola Rackete in merito alla vicenda che l'ha vista protagonista, così come è stato riassunto dai legali che l'hanno assistita:

"Il Giudice, attraverso il richiamo a norme internazionali cogenti, dimostra l'illegittimità vuoi della pretesa di chiudere i porti da parte da parte del Ministro dell'Interno, vuoi del divieto finale di attracco della Sea Watch dopo 15 giorni di attesa, così ripristinando l'equilibrio dei valori e la prevalenza dell'incolumità della vita umana rispetto all'arbitrarietà di scelte operate solo per motivi propagandistici".

In sostanza, il vero guaio per Salvini, quello che lo ha fatto infuriare mandandolo fuori dai gangheri, è semplicemente il fatto che un giudice lo abbia smascherato, abbia smascherato la sua feroce ed inumana propaganda, basandosi sulla banale, semplice, evidente realtà dei fatti.

Questa la dichiarazione di una persona "normale", Carola Rackete, dopo aver conosciuto la decisione del giudice: