L’Università è da sempre il luogo del confronto, a volte anche aspro, per cui non può mai essere fonte d’intolleranza o peggio di discriminazione.
Leggo dall’intervista rilasciata dal professor Costantino Visconti a un giornale nazionale la seguente affermazione: “È chiaro che fino a quando nelle scuole si continueranno a invitare Saverio Lodato e Nino Di Matteo, che dicono che lo Stato è marcio, si darà un messaggio diverso alle nuove generazioni”.
Pensiero sicuramente legittimo, ma non condivisibile e frutto - a mio parere - di quella tendenza “suprematista” presente spesso in ambiente universitario che identifica il pensiero con il proprio pensiero, la morale con la propria morale e l'ideologia con la propria ideologia. Conoscendo molto bene l’ambiente universitario, so che a volte vien fuori quella forma subdola di discriminazione verso coloro che vivono, appunto, un'altra visione dei fatti diversa dalla propria.
A me pare che le parole del professor Visconti superino largamente la critica o la differenza di opinione sul fenomeno mafioso degli ultimi trent’anni. Poi quando si richiama la censura o peggio il bavaglio, la posizione, anche se autorevole, diventa di solito apodittica.
Leggendo tutta l’intervista sembra emergere una visione parziale sia del pensiero di Nino Di Matteo sia di Saverio Lodato.
Ho avuto l’occasione di ascoltarli e di leggerli e so che nei loro scritti e nel loro pensiero non si trascurano mai la presenza e l'esistenza della parte sana dello Stato. Esiste la parte sana ed esiste quella marcia. Chi nega tale assunto, o è ignorante, o è in malafede. Quando i due parlano di Stato-mafia, si riferiscono sempre alla forza delle organizzazioni criminali connessa alla capacità di intessere rapporti con il potere.
Visconti avrebbe attaccato Di Matteo e Lodato, “colpevoli”, secondo lui, di avere un atteggiamento ingeneroso nei confronti dello Stato. Parla di un’antimafia “nichilista” che “non dà mai soddisfazione a chi lavora sul campo e, occupando in modo spropositato e a volte con un approccio cameratesco gli spazi mediatici messi generosamente a disposizione, punta inesorabilmente a celebrare l’invincibilità della mafia e dei suoi registi occulti”.
Al netto delle opinioni personali, Di Matteo e Lodato rappresentano due voci autorevolissime nel racconto e nella lotta del fenomeno mafioso, della storia delle stragi, delle vite delle vittime di mafia, delle indagini e dei processi antimafia, così come nella loro esperienza professionale e umana.
La volontà del professore palermitano di squalificarli agli occhi degli studenti a me pare un’evidente caduta di stile. La pensano come il sottoscritto anche tanti studenti dell’ateneo siciliano che hanno scritto al professore rimarcando con forza di non condividere affatto il suo pensiero.
Il rettore dell’ateneo palermitano dovrebbe intervenire e dire se la posizione dell’Università coincide con quella di un suo professore di prima fascia.
Da tutto ciò comunque viene fuori una polemica sicuramente strumentale che fa bene soprattutto alla “mafia”, perché quando si spacca il fronte dell’antimafia, inevitabilmente, lo si indebolisce.
Vincenzo Musacchio, criminologo forense, giurista, associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). È ricercatore indipendente e membro dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra.