Redazione “Law Journal” Studenti Rutgers University
Il criminologo Vincenzo Musacchio ricorda le stragi alla Rutgers University di Newark: “Sono passati trentatré anni e sono fermamente convinto che su queste due stragi (come su tantissime altre) non ci sarà mai ne giustizia tantomeno verità”.
Professore perché sulle stragi di Capaci e via d’Amelio non si riescono a trovare i veri colpevoli?
Perché non si è indagato dove si sarebbe dovuto come suggerirono gli stessi Falcone e Borsellino, anche dopo la loro morte, cioè ai rapporti tra pezzi di Stato deviati e mafie. Giovanni Falcone, li chiamò menti raffinatissime e Borsellino confermò alla moglie che non sarebbe stata la mafia a ucciderlo ma altri. E questo sarebbe accaduto perché qualcuno lo avrebbe permesso. E fra quel qualcuno, c’erano anche i suoi colleghi. Nell’ultimo anno della loro vita ne ebbero piena consapevolezza e questo posso dirlo con le parole di Antonino Caponnetto che più volte me lo confermò.
Lei cosa si ricorda di quell’orribile 1992?
Ricordo il grande senso di sconforto che mi pervase il 23 maggio e il senso della sconfitta il 19 luglio. Mi rimasero stampate della mente quelle parole del mio maestro Antonino Caponnetto: “… è finito tutto”. Oggi devo dire che, fatta salva l’azione propulsiva immediatamente dopo le loro morti, forse nonno Nino aveva ragione.
Secondo lei quindi è finito tutto da allora?
Devo dire che a oggi non trovo argomenti per affermare il contrario. Le nuove mafie sono potentissime, si sono perfettamente integrate nei gangli vitali della politica, dell’economia e della finanza e il sacrificio di Falcone e Borsellino è caduto nell’oblio di tanti. L’ormai famosa convergenza d’interessi di cui parlava Falcone oggi è realtà. Loro sono morti perché noi tutti li abbiamo lasciati soli, prede facili di chi li voleva eliminare.
Parole sferzanti le sue che denotano grande sfiducia nella lotta alle mafie, è così?
Si è proprio così. E dirò anche di più. Bisogna avere il coraggio di dirle queste cose e soprattutto di raccontarle a voi giovani affinché non commettiate gli stessi errori che abbiamo fatto noi. Stare zitti vuol dire favorire le mafie e la mafiosità. Le responsabilità delle stragi di Capaci e via D’Amelio non sono solo della mafia. Sono convinto che i mafiosi siano stati soltanto gli esecutori materiali di questi delitti. Su questo non bisognerà mai tacere.
La ricerca della verità su queste stragi è stata caratterizzata da tanti depistaggi, secondo lei perché?
Nelle stragi di mafia spesso il depistaggio è deliberato e orchestrato da chi ha lo scopo di nascondere i fatti e i responsabili degli attentati e di indirizzare le indagini verso altre direzioni. La strage di via D'Amelio, ad esempio, fu segnata uno dei più grandi depistaggi della storia repubblicana del nostro Paese. Dagli atti dei vari processi si evince che su quella strage tantissimi testimoni (magistrati, avvocati, poliziotti) sono stati reticenti, vi furono tanti “non ricordo” su fatti che invece si sarebbero dovuti ricordare per sempre. Molti di loro oggi salgono sui palchi a commemorare la loro memoria e appena vi scendono fanno esattamente il contrario di quello che fu l’insegnamento di Falcone e Borsellino. La ricerca della verità forse non c’è mai stata perché nessuno voleva accertarla veramente e convintamente.
Tanta amarezza in questo 2025 in ricordo delle stragi?
Non solo in questo 2025 mi creda. Le vere sentenze di condanna, che in tanti aspettano, non arriveranno più nonostante sia fin troppo chiaro il crogiuolo di connivenze, omissioni, bugie, depistaggi di uomini e donne delle istituzioni che molto spesso non hanno compiuto il loro dovere fino in fondo, costi quel che costi, com’era solito dire Giovanni Falcone. Il popolo italiano è ancora una volta beffato e forse alla fine è anche contento di esserlo.
Come ha raccontato a sua figlia quel periodo storico?
Non ho dovuto raccontare nulla perché mia figlia dall’età di tre anni mi segue in tutte le mie attività antimafia presso le scuole d’Italia e all’estero. Oggi ha quindici anni e sa cosa accadde in quel periodo storico e si è fatta la sua opinione. Parliamo di questi argomenti spesso e sempre con grande chiarezza. Posso dire che mia figlia ha vissuto quel passato attraverso i miei incontri e attraverso le mie risposte alle sue frequenti domande sul tema. Si ricorda persino quando fui minacciato e venivano i Carabinieri in casa per la vigilanza e la sorveglianza e oggi mi dice. “papà hai fatto bene”.
Qual è la più grande eredità che ci hanno lasciato Falcone e Borsellino?
Il senso del dovere e dell’onestà. Le loro idee avrebbero dovuto camminare sulle nostre gambe ma purtroppo in questo momento siamo fermi come se fossimo stati pietrificati dallo sguardo di Medusa. Dobbiamo ritrovare quello spirito che determinò la forte reazione del popolo italiano contro le mafie e le stragi di quel periodo storico.
A tal proposito, come vede il botta e risposta tra Maria Falcone e Salvatore Borsellino avvenuto durante le recenti commemorazioni su Capaci?
Lo vedo malissimo. Un’antimafia spaccata fa il gioco delle mafie. Oggi abbiamo organizzazioni criminali che si alleano, fanno rete persino a livello internazionale. Di conseguenza dividersi per questioni che comunque ritengo siano risolvibili, non credo sia una buona strada da percorrere. Salvatore Borsellino e Maria Falcone, persone che conosco e stimo, si incontrino e si chiariscano. Ricordo che Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono patrimonio di noi tutti e non solo delle loro famiglie, per cui, il loro ricordo e il loro insegnamento siano di monito per l'importanza di essere uniti allo scopo di combattere la nuova criminalità organizzata imperante.
Abbiamo ancora speranza allora?
L’ho detto tante volte anche in altre interviste, la parola “speranza” a me non piace. La penso come il grande regista Mario Monicelli. La speranza è un grande inganno creato dalla società moderna per paralizzare ogni moto rivoluzionario e far accettare passivamente le ingiustizie con l’illusione di un domani migliore che non arriverà mai. Il mio messaggio dunque non è di speranza ma di azione. “Le nostre vite cominciano a finire il giorno in cui stiamo zitti di fronte alle cose che contano”. Questo è uno dei tanti moniti di Martin Luther King che è ancora attualissimo e pienamente calzante quando si parla di mafia. Uniti e rivoluzionari si vince!
Vincenzo Musacchio, criminologo, docente di strategie di lotta alla criminalità organizzata transnazionale, associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). È ricercatore indipendente e membro ordinario dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Nella sua carriera è stato allievo di Giuliano Vassalli, amico e collaboratore di Antonino Caponnetto, magistrato italiano conosciuto per aver guidato il Pool antimafia con Falcone e Borsellino nella seconda metà degli anni Ottanta.