La posta elettronica avrebbe potuto essere la rovina di Hillary Clinton. Se l'ex-segretario di Stato avesse dovuto competere con un avversario di maggior spessore e non con un personaggio da avanspettacolo come Donald Trump, che con le sue gaffe e i suoi commenti sessisti le sta spianando la strada, probabilmente non sarebbe mai arrivata alla Casa Bianca come presidente per colpa proprio delle email.
 
Le mail del Dipartimento di Stato sul server privato
Conosciamo già l'abitudine che la Clinton aveva, quando ha ricoperto la carica di segretario di Stato, di farsi girare email riservate su un server privato, che non rispettava i criteri di sicurezza richiesti per i documenti governativi. Una leggerezza, che secondo alcuni, ha causato la morte di diverse persone, di cui quelle email potrebbero aver rivelato l'attività svolta sotto copertura.
 
Per questo motivo, Trump nell'ultimo dibattitto televisivo, le ha ripetuto, come ha fatto da quando sono iniziate le primarie, che, secondo lui, dovrebbe essere in galera. Galera o no, è certo che il comportamento della Clinton è stato quantomeno superficiale e lei stessa ha dovuto ammetterlo, con un certo imbarazzo.
 
Resta, poi, il mistero del fatto che di 45 mila email, la Clinton ne ha fatte avere all'FBI, che indagava sull'accaduto, solo 30 mila. E le altre? Forse sono state distrutte  perché il loro contenuto avrebbe potuto ancor più compromettere l'ex-first lady? Probabile. Comunque, anche se l'FBI ha deciso di non incriminarla, il fatto in sé e il modo in cui è stato gestito le hanno fatto perder sicuramente parecchi voti.

 
Le nuove mail pubblicate da WikiLeaks
Nei giorni scorsi altra posta elettronica è stata rovesciata sulla strada della Clinton, ostacolandone, più o meno intenzionalmente, il cammino. Venerdì, WikiLeaks ha reso pubbliche email provenienti dall'account di John Podesta (foto sopra), collaboratore  da molti anni dei Clinton, già capo dello staff della Casa Bianca con Bill e ora responsabile della campagna di Hillary.
 
Proprio dalle email di Podesta sono saltati fuori stralci dei discorsi tenuti dalla Clinton a varie banche e istituzioni finanziarie, per il colossale compenso di 225 mila dollari ciascuno. Durante le primarie, Bernie Sanders le aveva più volte chiesto di renderli pubblici, ma lei si era rifiutata e ora si capisce il perché.
 
Una posizione pubblica e una privata
Dalle trascrizioni risulta una posizione alquanto ambigua di Hillary Clinton riguardo ai temi economici. Lei stessa ammette, in un discorso alla Goldman Sachs del 2013, di avere "una posizione pubblica e una privata". Non proprio una frase che gli elettori amano sentirsi dire.
 
Sempre dai testi pubblicati da WikiLeaks, la Clinton avrebbe detto a dei banchieri brasiliani di avere un sogno, quello di uno spazio commerciale comune in tutto l'emisfero occidentale, dove le merci possano circolare liberamente, senza confini.
 
Quello delle aree di libero commercio, è stato uno dei temi principali della campagna elettorale, sia democratica che repubblicana. E' stato un cavallo di battaglia di Trump, che ha avuto gioco facile nell'accusare il Nafta, l'accordo per un mercato unico fra Stati Uniti, Messico e Canada, siglato da Bill Clinton, come il responsabile della deindustrializzazione e della disoccupazione in stati come il Michigan e l'Ohio.
 
Quando si è espressa sull'analogo trattato con l'Europa (TTIP), la Clinton aveva già capito che aria tirava e si è detta contraria. Sull'accordo tra i paesi che si affacciano sul Pacifico (TPP, Trans-Pacific Partnership) si era dichiarata da tempo favorevole, allineandosi alla posizione di Obama. Il problema è stato, poi, fare marcia indietro.
 
Il problema di cambiare idea sul TPP
A questo proposito, sempre nelle email di Podesta, ce n'è una in cui Dan Schwerin, incaricato di scrivere i discorsi elettorali della Clinton, dice di trovarsi in difficoltà nel gestire il mutamento di opinione rispetto al TPP, senza cadere nel ridicolo. "Non posso farla sembrare troppo entusiasta nell'opporsi a un accordo che in passato ha sostenuto, esagerando nel definirlo tutto sbagliato", scrive.
 
Alla fine, si opta per una frase come "l'accordo non rispetta gli standard che io richiedevo per sostenerlo", la stessa che la Clinton pronunciò in Iowa all'inizio delle primarie.

 
L'invito ai banchieri: "Diteci cosa dobbiamo fare"
Sempre in tema di coerenza, o per meglio dire mancanza di coerenza, a marzo del 2007, all'inizio della crisi finanziaria, l'attuale candidata democratica pronunciò un discorso in cui condannava il comportamento delle banche e i prodotti che proponevano ai loro clienti, in particolare ipoteche e  derivati, e invocò una riforma del sistema bancario. Lo stesso fece a novembre del 2007 e durante tutta la campagna per le primarie democratiche l'anno seguente.
 
Solo che qualche anno dopo, di fronte ad una platea formata da persone della Goldman Sachs, sostenne che incolpare il sistema bancario americano della crisi finanziaria mondiale era una semplificazione eccessiva. In realtà era stato tutto frutto di malintesi, di politici che non avevano fatto le cose giuste. Erano le banche a dover dire alla politica quali erano le cose giuste da fare. A questo punto, difficile confutare le accuse di quanti hanno sempre accusato la Clinton di legami con Wall Street.
 
La presa di distanza dalla politica di Bill
Dalle email rese note da WikiLeaks risulta anche nello staff della Clinton ci si preoccupa di evitare che la scelta dei consiglieri economici della candidata democratica non cada su personaggi troppo vicini a Robert Rubin (foto sopra),  segretario al Tesoro durante la presidenza del marito Bill. Anzi c'è proprio una volontà di evidenziare, almeno nelle forme se non nei fatti, una netta separazione fra la politica economica di Bill Clinton e quella della ex-first lady.
 
Mandy Grunwald, un consulente di Hillary, nell'ottobre 2015, le suggerisce in una email di appoggiare una nuova versione del Glass-Steagall Act, una legge risalente agli anni trenta, durante la depressione, che proibiva alle banche commerciali investimenti rischiosi e che nel 1999 fu abolita proprio per volontà di Robert Rubin. Da quel momento in poi, non c'è stata più nessuna differenza fra le norme regolanti le attività delle merchant bank, delle banche commerciali e delle compagnie di assicurazione. Tutti possono fare quello che vogliono ed è stata questa una delle ragioni, forse la principale, della crisi finanziaria.
 
In quel periodo, si era alla vigilia dei primi dibattiti fra la Clinton e Sanders e Grunwald insisteva che, sebbene sostenere il Glass-Steagall Act poteva comportare il rischio di sembrare poco credibili, valeva comunque la pena farlo, per non esporsi agli attacchi dell'avversario.
 
Successivamente, la Clinton ha optato per una soluzione basata sul rischio, sostenendo la necessità di obbligare a dividersi in più società quelle banche realmente a rischio, prescindendo dalle loro dimensioni e dal tipo delle loro attività.
 
Le email di Podesta inmano a WikiLeaks sarebbero circa 50 mila e saranno pubblicate un po' per volta da qui fino all'8 novembre, giorno delle elezioni. Lunedì ne sono state rese note altre duemila, che ci fanno capire un po'come funziona la campagna elettorale della Clinton.
 
Meglio non insistere troppo sul controllo delle armi
In una mail Podesta si dice scettico sulla opportunità di attaccare Bernie Sanders sul tema del controllo delle armi, che il senatore del Vermont non ha mai sostenuto in modo deciso. Quello del controllo delle armi è stato uno dei cavalli di battaglia di Hillary in molti degli scontri con Sanders. Il timore di Podesta è che quella posizione possa ritorcersi contro di loro e far perdere consensi. A quel punto quando si è tornati in pubblico sull'argomento, lo si è fatto con toni smorzati.
 
Curioso un giudizio espresso da Doug Band, per anni a capo della fondazione Clinton, su Chelsea, la figlia di Bill e Hillary, che lo criticava per aver usato il nome della fondazione, di cui non faceva più parte, per fini personali. Band scrive a Podesta, lamentandosi di Chelsea e dicendo "che non ha nient'altro da fare che creare problemi, per giustificare in qualche modo la sua presenza, perché, lo ha detto lei stessa, non sa ancora bene cosa fare della sua vita."
 
In una email, la portavoce della Clinton, Jennifer Palmieri, si lamenta del fatto che, sul tema delle email del Dipartimento di Stato, la posizione di Hillary non corrisponda a quella del suo staff elettorale, secondo il quale si dovrebbe insistere sul fatto che quanto è accaduto è servito da lezione per il futuro, quando sarà presidente. La Palmieri si augura che qualcuno voglia farlo presente alla Clinton.
 
Ora non ci resta che aspettare le prossime email da WikiLeaks, che probabilmente diventeranno sempre più interessanti man mano che ci si avvicina alla scadenza elettorale.