"I nostri mujaheddin stanno infliggendo pesanti perdite alle fila del nemico che non hanno precedenti nella storia del nostro popolo. Le scene che trasmettiamo fanno parte di ciò che i nostri combattenti stanno portando avanti sul campo, e preferiamo posticipare la trasmissione di alcune scene per motivi di sicurezza. Stiamo portando avanti specifiche operazioni mortali parallelamente al lavoro delle forze di resistenza della nazione.Abbiamo messo in guardia decine di volte sui pericoli a cui erano esposti i prigionieri nemici detenuti dalla resistenza, ma la leadership nemica lo ha ignorato. Le perdite tra i prigionieri sono diventate enormi. Abbiamo cercato per mesi di proteggere e prenderci cura dei prigionieri per raggiungere gli interessi della nostra gente, e stiamo ancora cercando di farlo. I prigionieri vivono in condizioni difficili e lottano per la vita. Stiamo cercando di proteggere le loro vite e l'esercito nemico ha deliberatamente ucciso e ferito i suoi prigionieri".

Questa la dichiarazione, ottenuta oggi da Al Jazeera, rilasciata da Abu Obeida, portavoce delle brigate al Qassam, l'ala militare di Hamas

Ma come ormai è noto, soprattutto ai parenti degli israeliani detenuti, della loro sorte il governo Netanyahu non si interessa e, pertanto, continuano i bombardamenti su tutta Gaza, addirittura in aumento nelle ultime ore, sia  nella parte centrale che nel sud della Striscia, come riportato da Tareq Abu Azzoum, corrispondente di Al Jazeera da Rafah.

E Rafah è ancora argomento delle dichiarazioni di Biden, anche in queste ore. Il presidente americano ha detto che spera che si possa raggiungere un accordo per fermare (almeno temporaneamente) la guerra a Gaza e che non ritiene che Israele attaccherà Rafah, prima di aver messo in atto un piano per evacuarne la popolazione.

Comunque, nonostante l’amministrazione Biden abbia affermato che un’incursione israeliana nella città al confine con l'Egitto sarebbe un "disastro" [vi sono ammassate 1,5 milioni di persone tra residente e rifugiati], ha affermato che tale operazione non comporterebbe conseguenze tangibili, come il congelamento dei trasferimenti di armi.

"Negli ultimi giorni ho avuto lunghe conversazioni, della durata di un'ora ciascuna, con il primo ministro israeliano", ha detto oggi Biden ai giornalisti, "e ho sostenuto la tesi, cosa a cui tengo molto, che ci deve essere un cessate il fuoco temporaneo per liberare gli ostaggi. Nel frattempo, prevedo, spero, che nel frattempo gli israeliani non effettueranno alcuna massiccia invasione di terra [di Rafah]. Quindi, la mia aspettativa è che ciò non accadrà".

Nel frattempo continua la guerra non ufficializzata con tutti coloro che Israele considera nemici. Dal Libano, al momento, rispondono alle uccisioni con le minacce, ricordando ad Israele che Hezbollah è in grado di colpire lo Stato ebraico fino all'estremo sud, il porto di Eilat, sul Mar Rosso, dove gli Houthi continuano - anche oggi - a bersagliare le navi che lo attraversano.

A metà giornata a nord della città di Kiryat Malachi, si è registrato un attacco contro israeliani che erano in attesa di un pullman: due le vittime e quattro i feriti. Il responsabile dell'attacco è un palestinese giunto sul posto a bordo di un veicolo che ha aperto il fuoco con una pistola, prima di essere colpito e ucciso da un ufficiale riservista dell'IDF.

Automatica, è arrivata la rappresaglia israeliana nel campo profughi di Shuafat, a Gerusalemme est, dove risiedeva il responsabile dell'attacco. L'agenzia di stampa Wafa e i corrispondenti di Al Jazeera hanno riferito di scontri tra le forze israeliane e i residenti palestinesi.

Le forze israeliane hanno anche fatto irruzione in un'impresa di pompe funebri nella zona di Jabal Abu Rumman, a Hebron, in Cisgiordania, di proprietà di parenti del presunto attentatore. Le forze israeliane hanno lanciato granate stordenti e gas lacrimogeni contro i palestinesi che cercavano di affrontarli, mentre i militari prendevano d'assalto l'impresa di pompe funebri.

Nessuna prospettiva di pace all'orizzonte, con gli ipocriti Stati occidentali che continuano a dichiararsi favorevoli ad una soluzione a due Stati, guardandosi però dal riconoscere - in qualsiasi forma - lo Stato palestinese.