Il Consiglio dei Ministri [del 18 aprile] ha deliberato di esercitare, a tutela di interessi strategici per la sicurezza nazionale, i poteri speciali nella forma dell'imposizione di specifiche prescrizioni, in relazione all'offerta pubblica di scambio volontaria su tutte le azioni ordinarie di Banco BPM S.p.a. da parte di UniCredit S.p.a.
Questo è quanto riporta una nota di Palazzo Chigi del 18 aprile scorso. Nota a cui Unicredit ha risposto con il seguente comunicato: 

Con riferimento all'offerta pubblica di scambio ('Offerta') promossa ai sensi degli articoli 102 e seguenti del TUF sulla totalità delle azioni ordinarie di Banco BPM S.p.A. ("BPM"), UniCredit S.p.A. ("UniCredit") informa di aver ricevuto in data odierna copia dell'approvazione Golden Power.L'Offerta è approvata con prescrizioni il cui merito non è chiaro. UniCredit si prenderà il tempo necessario per valutare la fattibilità e l'impatto delle prescrizioni sulla società, sui suoi azionisti e sull'operazione di M&A, relazionandosi, se del caso, con le autorità competenti. 

Dopo le premesse, passiamo a spiegare quanto "di grave" è accaduto.

L'utilizzo del Golden Power da parte del governo per cercare di bloccare di fatto l'offerta pubblica di acquisto (Ops) di Unicredit su Banco Bpm solleva dubbi sulla reale imparzialità dell'esecutivo e sulle motivazioni dietro una decisione che sembra dettata più da calcoli politici che da genuine preoccupazioni per la sicurezza nazionale. L'intervento appare come un atto di forza privo di logica finanziaria, che rischia di danneggiare non solo il sistema bancario italiano, ma anche la credibilità del Paese sui mercati internazionali.  

I vincoli imposti a Unicredit – sono cinque, tra cui quello che obbliga Anima a mantenere per cinque anni gli investimenti in titoli italiani – rivelano una preoccupante superficialità nella comprensione dei meccanismi di mercato. Si tratta di misure che sfiorano il "dirigismo statalista", attribuendo al governo il potere di plasmare arbitrariamente il settore bancario, ignorando il ruolo dei mercati e delle autorità di vigilanza europee, tra cui la Bce, che aveva invece espresso parere favorevole all'operazione.

La faziosità del governo emerge con chiarezza dal trattamento riservato ad altre operazioni finanziarie. Mentre Unicredit viene ostacolata, altre iniziative – come la scalata di Mps a Mediobanca, sostenuta da Caltagirone, Delfin e dallo stesso Ministero dell'Economia – ricevono un implicito endorsement. Questo dualismo tra banche "amiche" e "nemiche" del potere politico tradisce un'agenda non dichiarata, dove gli interessi elettorali prevalgono sulla coerenza delle regole. Non è un caso che Banco Bpm, radicato in Lombardia e nel Nord-Est – serbatoi elettorali della Lega – sia considerato un presidio politico da proteggere per il partito di via Bellerio, come dimostrano le mosse passate per salvare istituti legati all'area leghista.  

Dietro il paravento [assurdo] della "sicurezza nazionale" si nasconde una regia politica guidata dalla Lega, determinata a preservare il controllo su Banco BPM. La premier Giorgia Meloni, pur mostrando tiepidi dissensi, ha scelto di assecondare questa linea, replicando la stessa passività dimostrata durante l'introduzione della tassa sugli extraprofitti bancari nel 2023. Una subordinazione che solleva interrogativi sulla capacità dell'esecutivo di difendere l'interesse nazionale, soprattutto quando quest'ultimo coincide con la necessità di attrarre capitali esteri per ridurre il debito pubblico.  

Con questa decisione, l'immagine dell'Italia come paese affidabile per gli investitori rischia di uscirne ulteriormente compromessa, considerando anche il silenzio di Meloni sul tentativo di Unicredit di acquisire Commerzbank in Germania, nonostante il sostegno della Bce.  

Quella del Golden Power su Unicredit è una pagina che getta ombre sul futuro del sistema bancario italiano. Se l'obiettivo fosse davvero l'interesse nazionale, il governo promuoverebbe le ambizioni internazionali delle banche italiane, invece di ostacolarle. L'esecutivo, con questa decisione, sta sacrificando la credibilità del Paese sull'altare del consenso elettorale. I mercati internazionali, però, potrebbero non gradire: e per un'Italia bisognosa di capitali, questo potrebbe essere un lusso che non può permettersi.