Cè un punto fermo nella vicenda Paragon, e da oggi non è più solo un sospetto o unipotesi: è un fatto accertato. Il nuovo report di Citizen Lab documenta in modo forense che lo spyware Graphite, prodotto dallisraeliana Paragon Solutions, è stato installato sul telefono del giornalista Ciro Pellegrino di Fanpage.it.
Non stiamo parlando di teorie, di illazioni, di errori dei sistemi Apple o Meta: ci sono prove tecniche, puntuali, inequivocabili. Un giornalista italiano, di una testata indipendente, è stato spiato attraverso una tecnologia militare che, per sua stessa natura, dovrebbe essere a disposizione soltanto dei servizi di intelligence di alcuni governi occidentali alleati.
Non è più tempo di minimizzare o derubricare l'accaduto come "spionaggio fantasma", come qualcuno con sprezzo del ridicolo aveva scritto. La vicenda è grave. Lo era già prima, ma ora lo è ancora di più perché smentisce platealmente mesi di negazionismo, ridicolizzazioni e attacchi subiti da Fanpage.it e dai suoi giornalisti. E non si tratta solo di Francesco Cancellato: il report conferma anche che il direttore Ciro Pellegrino era un "target" di Paragon. È quindi altamente probabile che esista un vero e proprio cluster Fanpage, un'operazione mirata per colpire un'intera testata.
Fa rabbia constatare come, dopo mesi di fango gettato addosso alla redazione di Fanpage, debbano essere ancora i ricercatori stranieri — non certo le istituzioni italiane — a far emergere la verità.
Il Copasir, che pure avrebbe dovuto vigilare su questa vicenda, ha prodotto un rapporto ormai poco più che carta da macero, tanto sono superate le sue conclusioni dai nuovi elementi emersi. Un rapporto costruito in fretta, senza audire le vittime dello spionaggio, senza approfondire le evidenti incongruenze, senza neppure tener conto delle disponibilità avanzate dalla stessa Paragon per fare piena chiarezza.
Non solo. La narrativa costruita in questi mesi da alcune testate a supporto della maggioranza è stata a dir poco surreale: dal Giornale che ridicolizzava Cancellato come "martire della sinistra", a Libero che pretendeva addirittura le scuse per uno "spionaggio fantasma". Alcuni editorialisti sono arrivati al punto di sostenere che Paragon sia inutile perché, a loro dire, bastano le dichiarazioni pubbliche di certi giornalisti per screditarli. Un'argomentazione tossica, che puzza di regime e disprezzo per la libera informazione.
Intanto, il Copasir — presieduto da un ex ministro della Difesa del PD, Lorenzo Guerini — continua a rinviare la desecretazione dell'audizione di Paragon, nonostante la promessa iniziale. Non si sa nulla, se non quello che qualche solerte manina ha fatto trapelare in esclusiva a La Repubblica. I servizi italiani, dal canto loro, si sono trincerati dietro la scelta (conveniente) di non accettare l'assistenza di Paragon per individuare l'autore dell'attacco, sostenendo che un'operazione del genere li avrebbe esposti con i partner internazionali. Tradotto: meglio salvare la faccia che cercare la verità.
Nel frattempo, il ministro Piantedosi, con una leggerezza sconcertante, ha liquidato la questione in diretta TV con un "non si parla di cose che non esistono", mentre da Palazzo Chigi continua il silenzio assordante. Giorgia Meloni non ha ancora detto una parola pubblica sull'episodio. Dal Quirinale, zero commenti. Possibile che nessuno a Roma si renda conto della gravità di questa vicenda? Possibile che la democrazia italiana possa tollerare un attacco così sfacciato contro un giornale indipendente, senza che si muova una foglia?
All'estero, intanto, la questione esplode. La Commissione Europea ne parla apertamente, il Parlamento Europeo la porterà in discussione in plenaria, e la stampa internazionale — The Guardian, Reuters, TechCrunch — la sta trattando con la serietà che merita. In Italia, invece, cè ancora chi spera che tutto venga insabbiato, archiviato, dimenticato. Non possiamo permetterlo.
Se davvero il governo italiano non ha nulla da nascondere, dovrebbe essere il primo a pretendere chiarezza. E se — come qualcuno lascia intendere — dietro ci fossero soggetti stranieri, tanto più sarebbe doveroso indagare per proteggere la sovranità nazionale e la libertà di stampa. Invece si alimenta la confusione, si gettano cortine fumogene, si gioca a scaricare la responsabilità. Un copione già visto, ma stavolta troppo grosso per poter passare sotto silenzio.
Fonte: Fanpage.it