(3 parte)

L’ex senatore Gregorio De Falco avendo partecipato ai lavori di una delle Commissioni Parlamentari di inchiesta sul disastro del traghetto fornisce una ricostruzione di quella tragica notte

La sera dell’10 aprile del ’91 fuori dal porto alla fonda vi era l’Agip Abruzzo ma non era sola infatti dalle preziose registrazioni delle comunicazioni radio sul canale 16 si può ricostruire la situazione in atto nel momento della collisione. Quindi le comunicazioni funzionavano bene, come mai il Moby Prince restò isolato?

De Falco narra: "Il Moby appena partì dal porto evidenziò subito dei problemi di comunicazione, la radio non si sentiva bene, il segnale era pesantemente disturbato", il comamdante pilota avrebbe dovuto segnalare subito alla Capitaneria simile anomalia, questo particolare è piuttosto strano perché un iniziale malfunzionamento delle trasmissioni avrebbe costituito un pericolo per la navigazione ma molte sono state le manipolazione eseguite subito dopo l'incidente, i nastri potrebbe essere stati "trattati" successivamente per depistare le indagini.

Questa impostazione è fondamentalmente errata e fuorviante, le Commissioni parlamentari concordarono che il Moby Prince sia rimasto vittima di una terza nave (che navigava con le luci di posizione spente), il comandante del traghetto trovandosela davanti all’improvviso cercò di schivarla a causa di ciò andò a schiantarsi contro la petroliera. Però considero la ricerca dei dettagli e delle dinamiche che hanno determinato la collisione riduttiva e fuorviante, occorre invece individuare i responsabili che hanno deciso di lasciare morire i 140 passeggeri omettendo ogni soccorso. 

In merito alla presenza di altre navi De Falco continua:” Alle 22:25 ci fu l'impatto tra il traghetto e la petroliera, ma dalla Capitaneria di Porto fu sentito chiaramente solo il May Day dell'Agip Abruzzo". Dalle registrazioni finite negli atti delle Commissioni parlamentari d'inchiesta si sente solo un segnale pesantemente disturbato. "Moby Prince! Moby Prince! MayDay! May Day! Siamo in collisione". Impossibile da percepire nitidamente quella notte, le parole di quel flebile segnale pesantemente disturbato sono state ricostruite solo successivamente. A sentirsi bene è invece il May Day dell'Agip Abruzzo: "Capitaneria da Agip Abruzzo! Siamo incendiati! C'è venuta una nave addosso!" grida il comandante Renato Superina alla radio. Dalla capitaneria chiedono la posizione. "Tre miglia a Sud del porto di Livorno" risponde Superina. La Capitaneria chiede: "Qual è la nave che vi è venuta addosso?". "Ora qui è un macello. Non lo so" rispondono dall'Agip Abruzzo.  Non ci fu coordinamento dei soccorsi da parte della Capitaneria, i soccorsi furono sostanzialmente spontanei ed il coordinamento fu lasciato ai mezzi stessi. Quello che si produsse fu che tutti i mezzi di soccorso si recarono verso la petroliera". Dalle registrazioni audio si sente dall'Agip Abruzzo una comunicazione: "Non sappiamo cosa ha l'altra nave, non scambiate loro per noi". Non capisco perché fa questo distinguo.

“Nessuno andò nemmeno a cercare l'altra nave, nemmeno per sapere di che nave si trattasse, il primo mezzo che si avvicinò al traghetto lo trovò per caso, perché si vide passare davanti una nave in fiamme che continuava a camminare a marcia indietro".

Le due precedenti commissioni parlamentari d'inchiesta, la prima presieduta da Silvio Lai e la seconda da Andrea Romano, hanno sottolineato la strana carenza dei soccorsi che determinò la morte di tutti i passeggeri e dei membri dell’equipaggio escluso un mozzo

De Falco afferma "Che quelle persone potevano essere salvate è una delle certezze a cui si arriva con la commissione Lai". Perché nessuno si occupò di verificare se a bordo del Moby Prince ci fosse qualcuno vivo?

Il traghetto verrà trainato in porto la mattina seguente, ma nessuno usò gli idranti per “freddare” la nave, e nessuno, anche dalle immagini aeree, si occupò di vedere se c'erano persone in vita. Appena fu possibile salire, cinque giorni dopo dalla collisione, mentre venivano recuperati i morti due incaricati dalla compagnia di navigazione sottrassero prove e operarono varie manomissioni per insabbiare la verità sin dall’inizio. 

De Falco continua: "Oggi sappiamo che le persone sopravvissero moltissime ore a bordo del Moby Prince addirittura dalle immagini aeree del mattino si vedono corpi non ancora carbonizzati sul ponte della nave. Ci sono intere famiglie, come la famiglia Canu, che furono trovati morti uno sull'altro, integri, morirono per i fumi, per intossicazione. Anche loro potevano essere salvati". Furono diversi i cadaveri trovati non carbonizzati a bordo del traghetto. "Ci fu una un’abdicazione ai soccorsi".

Ma le cause dell'impatto tra il Moby Prince e la Agip Abruzzo vanno ricercate nella presenza di altre navi in rada quella notte nel porto di Livorno che navigavano “a vista” e senza fari di segnalazione. 

De Falco afferma: "Sappiamo con certezza che c'erano molte navi militarizzate, si tratta di navi mercantili ma in uso governativo, in questo caso cinque erano in uso al governo degli Stati Uniti e poi c'era una nave militare francese". Quella notte nel porto di Livorno c’era molto movimento lo si rileva dai registri dell'Avvisatore Marittimo che riportano i nomi di alcune navi militarizzate: Cape Flattery, Gallant II, Cape Siros, Cape Breton, Efdin Junior, Port de Lyon. Si trattava di “bettoline” molto più piccole del Moby Prince. Nelle registrazioni delle comunicazioni radio di quella notte ci sono almeno due tracce evidenti di queste navi che restano però non identificate. 

Quindi le comunicazioni funzionavano ma non la radio del Moby Prince.   

“La prima comunicazione si sente prima della collisione tra il traghetto e la petroliera: "The passenger ship, the passenger ship". La voce avvertiva che vi era una nave passeggeri in transito. 

L'altra traccia audio nelle registrazioni si sente nel bel mezzo dei soccorsi: "This is Theresa to Ship One in Livorno I’m mooving out, I'm mooving out, braking station". 

"Theresa" è evidentemente il nome in codice usato per comunicare alla Nave 1 ancorata nel porto di Livorno che sta allontanandosi, poi le comunicazioni vengono interrotte. 

Successivamente le commissioni parlamentari d'inchiesta hanno ricostruito la situazione in atto in quei momenti: le navi militarizzate stavano trasbordando parte dell'arsenale militare impiegato nella prima Guerra del Golfo. 

De Falco dichiara che: "L'Avvisatore Marittimo scrive che alcune di queste navi caricavano esplosivi". 

Anche nelle comunicazioni radio dalla Agip Abruzzo si fa più volte riferimento a "bettoline", subito dopo il May Day: "Sembra una bettolina quella che ci è venuta addosso". 

E successivamente: "Vigli del Fuoco da Agip Abruzzo, noi abbiamo iranian light crude oil, ma non sappiamo la bettolina che ci è venuta addosso cosa ha a bordo". 

Le bettoline (o chiatte) del tempo, adibite principalmente al rifornimento di navi miliari potevano raggiungere i 40 metri di lunghezza pari ad 1/3 del Moby Prince che era lungo 131 metri. 

Il comandante della petroliera evidentemente conosceva bene l’ormai consueto “movimento” che si svolgeva nel e fuori il porto di Livorno per questo pensava che fosse stata una bettolina a collidere con la sua nave e, per la stessa ragione aggiunge di non sapere quello che trasportava e che non dovevano scambiarla per loro. 

Vi è inoltre la testimonianza di un agente dei servizi segreti italiani che era presente quella sera nel porto di Livorno, afferma che quella notte c'era un traffico d'armi non autorizzato, le bettoline militarizzate entravano e uscivano in maniera furtiva dal porto di Livorno, trasbordando, da una nave all'altra, armi, esplosivi e perfino carri armati. È possibile che fu una di quelle bettoline a tagliare la strada al Moby Prince.  Solo identificando tutte le navi che quella notte dell’11 aprile del ’91 trafficavano senza autorizzazione armi nel Porto di Livorno si potrà stabilire la verità, ma si potrà dare pace e rendere giustizia alle 140 vittime individuando chi ha preso la decisione di lasciarli morire abbandonandoli alle fiamme.

Se rivisitiamo la vicenda dell’abbattimento del DC9 dell’ITAVIA il copione si ripete. Americani e francesi presenti nei luoghi del crimine, viene abbattuto l’aereo civile per colpire un caccia libico in volo sotto la carlinga dell'aereo civile per sfuggire ai radar: immediatamente vi è l'insabbiamento totale dell'episodio e successivamente vengono eliminati tutti i testimoni compresi i due piloti militari italiani che quella sera erano in volo e a conoscenza della presenza dei velivoli militari alleati  nell'area dell'abbatimento dell'aereo civile divenendo così dei testimoni scomodi.

Immaginate le conseguenze di un atto del genere compiuto da caccia italiani sul suolo americano o francese. 

E' dal 1948 che gli “alleati” spadroneggiano nel nostro Paese: hanno legittimato e imposto la prosecuzione del regime fascista e relegato il nostro Stato al ruolo di colonia della NATO.


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