L’Accademia Lirica Toscana “Domenico Cimarosa” ha appena reso disponibile (dal 14 giugno 2018) una nuova edizione critica di un’opera di Domenico Cimarosa, il grande compositore nato ad Aversa nel 1749 e morto a Venezia nel 1801 dopo una carriera disseminata da straordinari successi e riconoscimenti internazionali. L’opera oggi disponibile per l’esecuzione attraverso materiali musicali affidabili, è La Cleopatra, dramma serio composto su un libretto di Ferdinando Moretti e rappresentata, con grande successo, per la prima volta nel Teatro Hermitage di San Pietroburgo il 27 settembre 1789. In occasione di questa importante operazione editoriale, intervistiamo Simone Perugini, musicologo e direttore d’orchestra, esperto di Cimarosa, che ha curato l’edizione critica per conto dell’Accademia Lirica Toscana “Domenico Cimarosa”.

D. Maestro, perché la pubblicazione di questa partitura è da considerarsi avvenimento culturale di enorme importanza?

R. Innanzitutto perchè con questa nuova edizione, reperibile facilmente nel mercato dell’editoria musicale e anche attraverso numerosi canali di vendita online, restituiamo a musicisti, appassionati d’opera e di storia del teatro musicale italiano, un autentico capolavoro di cui era impossibile trovare a tutt’oggi il materiale per l’esecuzione; in secondo luogo perchè si tratta dell’edizione critica di un’opera seria di Cimarosa. Il grande compositore aversano è oggi internazionalmente conosciuto come il maestro indiscusso dell’opera buffa di fine Settecento; in realtà fu anche eccelso compositore di opere serie, e, anzi, al proprio tempo, le produzioni serie erano quelle maggiormente apprezzate dal pubblico e dalle corti europee. In più, La Cleopatra, fu ideata e rappresentata durante il soggiorno pietroburghese del compositore, quando venne chiamato a servizio di Caterina II come compositore di corte (1786-1791). Nella Prefazione storico/metodologica dell’edizione critica, si affrontano e discutono una serie di problemi musicologici ed esegetici relativi non solo a queto specifico lavoro, ma anche al poco conosciuto periodo del soggiorno russo del musicista. Si aggiunga che, con questa edizione critica, si mette finalmente un punto fermo sulla questione relativa al numero di atti con cui quest’opera venne originariamente ideata da Moretti e Cimarosa. Col ritrovamento del libretto stampato in occasione del debutto dell’opera e di cui fortunatamente sono venuto in possesso durante la fase di collazione delle fonti – e da tutti considerato perduto o, addirittura, mai stampato – è possibile stabilire, con certezza, che i due autori concepirono l’opera in due atti e che nessuna revisione in tre atti – come ipotizzato in passato – è stata mai approntata o avallata dagli autori stessi.

D. Quindi, con questa nuova edizione, Lei auspica un rientro nel repertorio contemporaneo de La Cleopatra?

R. Me lo auguro! Onestamente va riconosciuto che il lavoro, negli ultimi vent’anni, aveva goduto di una certa fortuna – soprattutto se paragonato a le altre opere serie di Cimarosa che, dall’inizio dell’Ottocento, non sono mai state riprese. La Cleopatra, invece, era stata riproposta a Spoleto e pure incisa in CD, ma la partitura approntata per quelle produzioni conteneva alcune inesattezze e l’approccio musicologico con cui erano state realizzate non fu proprio rigorosissimo. Anche all’estero, in passato, l’opera è stata prodotta addirittura in una straordinaria edizione diretta da Valery Gergiev. Ma anche in quel caso, l’edizione musicale utilizzata – non reperibile, tra l’altro, in commercio - peccava un po’ troppo di scarso rigore musicologico. Spero che il successo di quest’opera si intensifichi, soprattutto ora che il materiale per l’esecuzione è di facile reperimento.

D. La Cleopatra è un lavoro che contiene innovazioni di carattere musicale?

R. Per rispondere in modo pertinente a questa domanda, servirebbe un intero saggio. Comunque, sì, moltissime: è un’opera a dir poco soprendente proprio per le novità musicali e drammaturgiche che contiene. Forse i due autori furono stimolati dall’esigenza di produrre un’opera di breve durata (Caterina II impose una durata non superiore ai cento minuti). La Cleopatra è un lavoro che, in un certo qual modo, travalica il tradizionale schema a numeri chiusi, tipico dell’opera serie e comica di quel periodo. I recitativi sono quasi tutti accompagnati dall’orchestra e alcune arie non si concludono e sfociano direttamente nel recitativo successivo senza soluzione di continuità. Raccontate così, con poche parole e con lo stile della lista del bucato, sembrano innovazioni da nulla, ma chi ha consuetudine con lo stile dell’opera tardo settecentesca, caratterizzata da una retorica drammaturgica e musicale dalla quale mai ci si distanziava per non correre il rischio di un fiasco, ne capirà tutta la valenza. L’opera, in più, è disseminata di Cori, di balletti, di sezioni musicali dedicate alla Banda e di scene molto lunghe. L’orchestrazione prevede un organico strumentale molto ampio per l’epoca, che include clarinetti, trombe e timpani. Insomma, lo dico senza alcun intento sensazionalistico: quest’opera è un capolavoro.