Se tutto è politica, lo è anche una storia che finisce o un amore sbagliato. Non è dunque fuori luogo occuparsene qui, mettendo per un attimo da parte gli interrogativi sugli onesti e i disonesti, i truffatori e i galantuomini, i lealisti e gli infedeli.

Proviamoci.

La fine di una storia e l’inizio di un’altra cominciano sempre con un tumulto di dilemmi angosciosi.

Mi rifaccio una vita o mantengo il patto di fedeltà? Mi incanta e mi respinge. Insisto fino allo sfinimento o lascio perdere?

Non c’è persona al mondo che prima o poi non si sia posta simili arrovellanti domande e che non abbia cercato negli altri un aiuto, un consiglio, il conforto di un abbraccio. Eppure, nessuno è mai preparato abbastanza a fare o dire le cose giuste per alleviarne le sofferenze.

Prendiamo una coppia a caso. Un lui e una lei, due lui, due lei. In omaggio alle unioni civili, facciamo due lui: S e M.

L’uno è di qualche decina di anni più vecchio dell’altro, ma la differenza di età, almeno fino al momento della crisi, non ha mai rappresentato un problema. Anzi!

Hanno tutto ciò che serve per essere felici. Condividono i gusti, le simpatie, le antipatie. In politica la pensano allo stesso modo. Hanno una visione comune di qualsiasi cosa venga loro in mente, persino, tanto per fare un esempio stupido, della gestione della Rai per non parlare della passione comune per la storia di Orfeo e Monica. Hanno felicemente superato l’incomprensione che per qualche tempo li aveva allontanati. Tifano per squadre diverse, ma lo trovano divertente.

Sono fatti l’uno per l’altro, l’uno dell’altro.

Non vivono insieme, ognuno di loro ha la sua famiglia, ma sognano una casa comune. Con amore, S si è inventato un modo per poter regalare a M il palazzo per cui si strugge. Ragionano insieme della ristrutturazione e concludono che hanno bisogno di una mano d’aiuto per realizzarla come si deve.

Sono fortunati, ne trovano più d’una. Uno stuolo di sherpa si mette a loro disposizione, impegnandosi giorno e notte per rispettare la data di consegna del loro nido. Qualche inezia burocratica da superare, ma niente di serio. La fine dei lavori è prevista per settembre, al massimo per ottobre.

Nessuno apparentemente ostacola il progetto, a parte qualche vecchio brontolone invidioso e le famiglie degli sherpa, di uno di loro in particolare, che protestano vivacemente non vedendoli mai tornare a casa per cena. 

Improvvisamente, una serie di circostanze avverse travolge come una valanga il sogno della coppia e, con sorpresa generale, la coppia stessa.

Inutile chiedere ai testimoni come la crisi sia cominciata. Vi confonderebbero le idee.

Qualcuno vi direbbe che si tratta solo di un malinteso, che le cose torneranno a posto presto. Altri sosterrebbero di non averli mai visti bene insieme e di essersi sempre augurati che la loro storia finisse. Altri ancora che S si è fatto abbindolare da una signora trentina, bionda e con una parlantina trapanante, lasciandosi convincere a fare a M uno scherzo di cui non aveva valutato la portata. I più informati vi parlerebbero di un altro vecchio amante di M. che, riempiendo il giovane di rimbrotti severi, lo avrebbe convinto a non giocarsi la vita per una passione infantile.

Ognuno darebbe la sua spiegazione, ma tutti, salvo il diretto responsabile, vi assicurerebbero che nulla sarebbe accaduto se un grillo dispettoso e volubile non avesse fatto partire una scia chimica che prima ha contaminato la signora trentina e poi gli amici di M non vaccinati, costringendoli, loro malgrado, ad accendere dei lumini che sarebbero dovuti restare spenti per evitare gli incendi.

Facile chiuderla così. La signora trentina, la scia chimica, i non vaccinati, la ricomparsa del vecchio amante.

Chiunque abbia un minimo di esperienza della fine di un amore, fosse anche solo per sentito dire, sa bene che le circostanze, per quanto avverse, nulla possono contro una coppia veramente salda.

Dobbiamo allora immaginare che uno dei due, il più giovane, come sempre capita, non aspettasse altro che di vedersi cadere addosso “le circostanze avverse” per liberarsi di S e tentare di rifarsi una vita senza di lui nell’esotica isola di Pisapia appena emersa.

I giovani, si sa, sono un groviglio inestricabile di pulsioni, di desideri, di aneliti di libertà. Incapaci di capire che cosa veramente vogliono, basta un nulla per far cambiare i loro propositi e non gli importa dei morti e dei feriti che si lasciano alle spalle. Cercano un abbraccio caldo e sicuro in cui rifugiarsi, ma quando lo trovano si divincolano come volpi in trappola per veleggiare verso altri lidi, altri ripari, dimentichi dei nodi irrisolti, dell’infanzia difficile e delle ambizioni deluse che li avevano condotti tra quelle braccia.

Non possiamo fargliene una colpa, sono giovani.

È ciò che si racconta S in queste ore di sconforto. Oscilla tra l’indulgenza per il suo amante capriccioso e la rabbia contro se stesso per esserci ricascato dopo quel che M gli aveva fatto patire qualche anno prima. Si sente solo, un po’ stupido e molto vessato dalla sorte. Inesorabile, infatti, la legge statistica della concentrazione degli eventi negativi gli ha scatenato contro anche i fantasmi del passato: le relazioni pericolose e, a ruota, le Procure cattive e vendicative.

L’abbandono era stato duro da superare anche l’altra volta, ma niente a paragone della sofferenza che ora lo tormenta. I familiari temono che cada in depressione e gli stanno vicini più che possono.

Sta male chi è lasciato, ma sta male anche chi lascia. Forse persino di più.

Ognuno sa che tormento sia lasciare quando l’altro con tutta l’anima vorrebbe trattenerti. Il senso di colpa è il più feroce dei sentimenti. Una condizione orrenda.

È capitato a molti di provare invidia per quei pochi capaci di risolverlo con uno schiocco delle dita: un breve incontro, una telefonata, un sms. Occorre coraggio e determinazione per agire così, ma soprattutto occorre avere un’alternativa. La navigazione in solitario nel mare aperto dei sentimenti spaventa tutti, anche i giovani spavaldi impossessati dal desiderio di essere altro da ciò che sono stati fino a quel momento.

Dunque, pietà per S, ma anche tanta empatia per M, giovane forse un po’ cinico, ma focoso e temerario. In una sola notte è stato capace di prendere una decisione che ad altri sarebbe costata mesi, se non anni, di comunicarla a S con una semplice malinconica telefonata e, alle nove del mattino successivo, di salpare per un altro porto, leggero come una piuma spinta dal vento fresco delle Isole Britanniche.

Chi, senza mai portare l’azzardo fino in fondo, non ha desiderato di saltare su una Corbyn, levare gli ormeggi e spiegare le vele in direzione della mitica isola di Pisapia?

Quante volte lo abbiamo immaginato e, per nascondere a noi stessi la nostra vigliaccheria, ci dicevamo che non c’era nessuna isola all’orizzonte. Che saremo partiti per il nulla e naufragati.

M è diverso da noi. L’emersione dell’isola Pisapia ha sempre suscitato in lui pulsioni ambivalenti. Per un verso la temeva, per l’altro la desiderava. L’ansia di vederla spuntare per poterla immediatamente occupare lo divorava quanto il terrore che emergesse gia piena di abitanti a lui ostili, pronti a rigettarlo in acqua al primo tentativo di sbarco.

Col binocolo davanti agli occhi, passava le giornate a scrutare l’orizzonte per non farsi prendere di sorpresa, tenendosi a sua volta pronto a scatenare un maremoto per farla di nuovo sommergere, ma anche con la barca armata per raggiungerla non appena il signore dell’isola gli avesse fatto un cenno ospitale.

La giornata cruciale delle “circostanze avverse” M. l’ha passata così, binocolo in una mano e lo smartphone nell’altra, in attesa di un’alzata di fumo o di un colpo di telefono che placasse la sua ansia. I segnali sono arrivati durante la notte e gli sono parsi inequivocabili.

In un’altra isola, più lontana e più grossa, la quasi prossima omologa T annaspava in un guaio che si era procurata da sola, guarda caso lo stesso in cui anche M stava per cacciarsi. M che, insieme a S, aveva programmato per le nove del mattino l’identificazione in diretta con T vittoriosa, si è sentito perso. Ma solo per un attimo. Si è subito ripreso non appena ha capito che, in alternativa, si sarebbe potuto identificare nell’arzillo vecchietto artefice della messa in trappola di T. In teoria ben più più vicino a lui per le idee e la biografia.

L’intuizione lo ha entusiasmato. Ne ha scritto il nome, Corbyn, sulla barca, si è accomiatato da S, una telefonata ai suoi per ordinargli di tenersi pronti per il nuovo inizio, battendo intanto il ferro caldo sulla testa del grillo malefico e …  via in direzione dell’isola di Pisapia.

È andata così.

Aspetta, lo ha supplicato S al telefono, non essere precipitoso. Ci riproveremo. Se non va bene la Germania, andremo da un’altra parte o staremo qui stretti stretti nel nido che ci stavamo costruendo e che in un modo o nell’altro porteremo a termine. Non farti incantare dal signore dell’isola. È un buono a nulla. Lo dicevi anche tu. Ed è pieno di amanti vampiri pronti a succhiarti il sangue, a differenza di me, che ho messo la testa a posto e non voglio altro che la tua felicità.

Perché lo cerchi? Non vedi che non ti vuole. Ti farà ancorare al largo, per paura che tu contamini la sua isola e la sua gente. Ti umilierà fino a sfiancarti. Ti chiederà di sacrificare tutti i tuoi, i nostri, principi, di distruggere i progetti che ci sono costati tante veglie e, all’ultimo, ti dirà che … non sei “discontinuo” abbastanza per diventare un cittadino della sua isola.

Soffre S e ancor più soffre M non appena scopre che la profezia si sta avverando. Dall’isola di Pisapia, gli negano l’approdo. Quarantena. Manco fosse un appestato!

Nel pieno della tempesta, in attesa di un cenno di ospitalità che non arriva, è preda anche lui dello sconforto e degli interrogativi devastanti che sempre, a un certo punto, torturano coloro che lasciano.

E se avesse visto giusto S ? E se quella di G non fosse la tattica usuale di chi vuol farsi desiderare ma il segno di un rifiuto irrevocabile? E se tornando indietro non ritrovasse più neppure la casa di famiglia?

Gli corre un brivido al pensiero di che cosa è diventata quella casa, delle ragioni per cui voleva lasciarla con la velocità di una lepre. Piena di varchi, gente di tutte le risme che va e viene, brontolii continui, rimproveri a non finire da parte di chi crede di esserne il vero proprietario e gli infedeli pronti a prendere il primo traghetto per Pisapia, certi, loro, di esservi accolti con fanfare e collana di fiori.

Non ci si è mai sentito a suo agio, neppure quando ne era il signore incontrastato, figuriamoci ora.

È diventata ormai un’accozzaglia di gente scontenta, che affida a un barbuto saccente e sempre di cattivo umore il compito di rappresentargli le rimostranze di ognuno.

Tra loro è rimasto davvero poco in comune oltre alla disperata lotta contro le scie chimiche. Ormai il dialogo è fatto soltanto di slogan improbabili e soprattutto di numeri. Ciascuno, col suo personale pallottoliere, calcola i dissidenti della gestione condominiale e mai che la somma risulti uguale a quella degli altri. Ciascuno conta e riconta il numero di coloro che, all’esterno, a questa sua strampalata famiglia dovrebbero ancora voler bene. I risultati, in questo caso concordanti, gli fanno accapponare la pelle. Finito il tempo delle margherite! Rispuntano le querce.

S e M sono due anime disperate. L’uno in lacrime, col Prozac in mano, in attesa dell’altro in pieno nubifragio e ancora incerto sul dove dirigere il timone. Come restare indifferenti?

È inumano di fronte a tanto dolore fare quelli che nelle vicende di coppia non si immischiano per principio. Nella fine di un amore bene assortito o nella fissazione per un amore sbagliato c’è sempre una dimensione politica che tocca ognuno di noi, tutti quanti, anche il signore e gli abitanti delle isole in emersione.

Per una volta, siamo generosi. Diamo a M il consiglio giusto, il solo di cui siamo certi, senza timore di sbagliare. Ricordiamoci che in politica l’indifferenza non paga mai. Aiutiamo M a uscire dalla tremenda confusione in cui si è smarrito.

Torni da S e dimentichi l’isola di Pisapia. Non è fatta per lui. Ci si sentirebbe fuori posto e la sua infelicità rovinerebbe la vita anche a G, l’uomo che, chissà perché, crede ora di amare. La riva sinistra non ha ripari da offrirgli. Non è lì il suo approdo, non lo è mai stato. Riprenda il timone in mano, viri decisamente a dritta e torni da chi sempre perdona e ama. Sì, torni da S, lo stringa forte al petto e non lo lasci mai più. Non sentirà le farfalle nello stomaco e penserà a G con la tenera nostalgia che si prova per ciò che poteva essere e non è stato, ma finalmente placato si accontenterà della rassicurante certezza di aver finalmente trovato il suo porto: sulla riva destra, lontano dalle rovinose passioni, accanto a S, al sicuro.

È un epilogo un po’ deprimente, “una fine senza idillio” … come per Renzo e Lucia … però è infinitamente preferibile al tormento senza fine che toccherebbe a tutti noi se M e S  non tornassero insieme. Alessandro Manzoni lo sottoscriverebbe.

Qualcun vuole aggiungersi?