Ci troviamo proprio nel bel mezzo di una crisi energetica che, tra le altre cose, ha spinto i prezzi dell’alluminio su e giù per le montagne russe. I prezzi hanno toccato massimi pluridecennali il 18 ottobre (3.168 dollari a tonnellata) e oggi, 2 Dicembre  novembre, le quotazioni al London Metal Exchange sono scese a 2.625 dollari.

La volatilità sembra farla da padrone sul mercato delle materie prime e per alluminio ed acciaio in particolare.

“La richiesta di alluminio è ancora molto alta e le nostre previsioni sono per una crescita costante anche nel 2022. Noi abbiamo già in previsione ordinativi fino al 2024, soprattutto da est Europa, Spagna Germania e Stati Uniti” dice Luca Lorini, general managing director di Turla rfk, con sede in Franciacorta, primaria azienda che realizza macchine per estrusi in tutto il mondo.

La questione dei prezzi e della scarsità delle materie prime è una delle grandi incognite, come dice Lorini, per un ripresa che dopo il fermo per il Covid è stata sicuramente robusta. In un contesto tanto volatile, la speculazione ha trovato un buon terreno per operare, amplificando le oscillazioni che hanno raggiunto livelli tali da rendere assai difficile la programmazione e l’approvvigionamento per i consumatori di alluminio.

Secondo molti il problema sarebbe nella politica attuata dalla Cina primo grande produttore mondiale del metallo più sostenibile che esista in natura e che quindi sembra destinato ad avere una sempre maggiore richiesta nei settori chiave come automotive, edilizia aerospazio. Sono anni che la Cina ha introdotto prezzi differenziati per l’elettricità utilizzata dall’industria dell’alluminio.

Quest’anno, poi, sono arrivate nuove regole per incentivare l’efficienza energetica, che puniscono con costi più alti i produttori che utilizzano più energia. Gli effetti si sono visti subito, considerando che l’intensità energetica media si è abbassata dell’8%, passando da 14.795 kWh per tonnellata nel 2004 a 13.543 kWh per tonnellata nel 2020.  Inoltre, recentemente, la Cina ha liberalizzato i prezzi dell’energia elettrica a carbone, una mossa che potrebbe avere profonde conseguenze nel futuro.

Visto che il prezzo adesso può fluttuare rispetto al prezzo base di oltre il 20%, supponendo che gli altri costi rimangano invariati, l’aumento dei prezzi dell’energia in tale misura comporterebbe un aumento dei costi per i produttori di primario di circa il 7%. Ecco perché gli esperti pensano che la crescita dell’offerta di alluminio primario a lungo termine sia insostenibile.

Storicamente, non si è mai visto un cambiamento tanto radicale dei costi per il business della fusione di alluminio come in questo periodo. A meno che non ci siano progressi tecnologici che riescano a ridurre significativamente il consumo di energia, la nuova struttura dei costi potrebbe essere destinata a durare. La nuova normalità per le fonderie di alluminio sarà di costi elevati per l’energia e di margini ridotti rispetto a quanto erano abituate.

Nel frattempo, il mondo intero è impegnato in una transizione energetica che richiede sempre più alluminio da utilizzare per veicoli più leggeri e per le infrastrutture elettriche. Insomma un cane che si mangia la coda, si potrebbe dire, considerando che il mercato automotive e quello aerospaziale sono previsti in forte crescita nel 2022, probabilmente il saliscendi dei prezzi dovrebbe continuare in maniera ancora più marcata. Per non parlare dei ritardi e degli annullamenti delle spedizioni.

Insomma, la drammatica caduta della domanda a seguito del coronavirus potrebbe rivelarsi molto meno dannosa per i mercati rispetto alla risalita violenta, e per certi versi sorprendente, a cui stiamo assistendo.

Per il mercato globale dell’alluminio si apre una sfida molto difficile ed importante che dipende da molti fattori esogeni e che probabilmente determinerà una selezioni fra gli operatori del settore, che dovranno essere pronti ad innovarsi e a resistere a questa altalena di mercato.