Nel 2024, il Mezzogiorno cresce per il secondo anno consecutivo più della media del Centro-Nord: +0,9% contro +0,7%. Si riduce tuttavia sensibilmente lo scarto di crescita favorevole al Sud rispetto al 2023, quando il Pil del Sud era cresciuto quasi un punto percentuale sopra la media del Centro-Nord. La crescita più sostenuta del Mezzogiorno è dovuta a una più robusta dinamica degli investimenti in costruzioni (+4,9% contro il 2,7% del resto del Paese) trainati dalla spesa in opere pubbliche del Pnrr.
I consumi delle famiglie tornano, invece, in negativo nel 2024 (-0,1% contro +0,3% nel Centro-Nord), frenati dalla crescita dimezzata del reddito disponibile delle famiglie rispetto all’anno scorso (+2,3% nel 2024 contro il +4,5% del 2023) e da una dinamica dei prezzi in rallentamento, ma lievemente più sostenuta rispetto al resto del Paese.
Questa è stata l'ultima fotografia scattata dall’istituto Svimez sull'economia del mezzogiorno. Un quadro certamente positivo che dimostra come ancora una volta il sud sia diventata la locomotiva della crescita del nostro paese, invece che il fardello come troppe volte in passato era avvenuto.
Sul tema è tornato anche chi è stato uno dei protagonisti di questo piccolo boom del mezzogiorno d’Italia, Raffaele Fitto, fresco vicepresidente esecutivo della commissione europea ad un recente convegno sul tema “La vera sfida non consiste nel rincorrere necessità altrui, ma nell’investire in ricerca e innovazione, per aprire nuovi mercati e sviluppare nuove tecnologie. Solo così il Sud potrà tornare a essere non solo un attore centrale dell’economia italiana, ma anche un motore di sviluppo per l’intera Europa”.
Anche sul fronte dell’occupazione, ha fatto notare Fitto, «il Mezzogiorno ha registrato i maggiori guadagni, con un aumento degli occupati pari al 2,5%. Un dato che trova conferma nel rapporto Svimez, che nel luglio del 2024 ha evidenziato come nel 2023, il Pil del Mezzogiorno sia cresciuto dell’1,3%, superando la media nazionale dello 0,9%, con un contributo significativo degli investimenti pubblici».
Perché è indubbio che la decisione di istituire una Zes unica per tutto il sud Italia, fortemente voluta dall’ex ministro per gli affari europei e del sud Italia, Raffaele Fitto ( ora volato a Bruxelles per ricoprire la carica di vicepresidente esecutivo della nuova commissione europea), stia avendo un ruolo determinante nello sviluppo della zona, come evidenziano gli ultimi dati che parlano di una valanga di domande presentate dalle imprese del Mezzogiorno per accedere al Credito d'imposta della Zes unica, quattro volte più di quelle del 2023: gli investimenti richiesti ammontano a oltre 9,4 miliardi, cinque volte maggiori rispetto a quanto stanziato per il 2024 dal Governo (1,8 miliardi euro). Un risultato che dimostra come le scelte operate dal governo in questi mesi stiano funzionando al di là delle polemiche strumentali che sono state fatte dalle opposizioni. ma certamente non è che adesso si può pensare che siano tutte rose e fiori.
Al Sud, per esempio, ci sono tre milioni di lavoratori sottoutilizzati o inutilizzati. Il labour slack Svimez, l’indice del “non lavoro”, è calato, tra il 2019 e il 2023 dal 39,3 al 33% nel Mezzogiorno. Allo stesso tempo, il “non lavoro” al Sud resta su valori più che doppi che nel resto del Paese. Letre regioni meridionali con i tassi di “non lavoro” più elevati sono Sicilia (38%), Campania e Calabria (entrambe 36,8%). Dei tre milioni di lavoratori meridionali sottoutilizzati o inutilizzati, quasi un milione rientra tra i disoccupati secondo la definizione ufficiale, 1,6 milioni sono forze di lavoro potenziali e 400 mila sono occupati in part-time involontario. Nel Mezzogiorno la precarietà è diventata un fenomeno tutt’altro che marginale in comparazione ad altre economie europee.
Il Mezzogiorno non è un deserto industriale. Per contributo a valore aggiunto e occupazione, in termini di internazionalizzazione, competenze e tecnologia, il peso del Sud è rilevante in diverse filiere nazionali: Agroindustria, Navale e Cantieristica, Aerospazio, Edilizia e Automotive. È quindi adesso sembra arrivare il momento di mettere in campo una politica industriale più ambiziosa, declinata attraverso strumenti utili ad attivare processi di trasformazione strutturale e creare occasioni di lavoro qualificato. Non si tratta solo di assicurare risorse adeguate al Mezzogiorno, ma di adottare un’impostazione orientata all’identificazione e al supporto delle priorità produttive e delle specializzazioni.
Altro tasto dolente ma nello stesso che potrebbe avere sviluppi futuri di un certo interesse è quello legato al settore automotive, come ha anche detto di recente il ministro del made in Italy, Adolfo Urso.
Nei primi 9 mesi del 2024, gli stabilimenti del Mezzogiorno hanno fornito quasi il 90% degli autoveicoli prodotti in Italia, ma hanno perso più di 100 mila unità sul 2023 (-25%). Lo stabilimento di Melfi ha visto da solo una perdita di quasi 90mila unità (-62%), ma anche gli altri stabilimenti – in crescita nella prima parte dell’anno – sono entrati in territorio negativo, con cali che hanno interessato sia gli autoveicoli (Pomigliano, -6%) che i veicoli commerciali (Atessa, -10%).
Ad aggravare il quadro, è stato sospeso l’investimento da oltre 2 miliardi per la realizzazione della gigafactory di batterie a Termoli, che indica una generalizzata vulnerabilità europea nella transizione all’elettrico.
La filiera estesa nel Mezzogiorno dell’Automotive vale quasi 13 miliardi in termini di valore aggiunto, di cui più di quattro quinti in Campania (29%), Puglia (20%), Sicilia (22%) e Abruzzo (13%). Gli occupati riconducibili alla filiera Automotive sono circa 300mila, più della metà in Campania (30%) e Puglia (21%), seguite da Sicilia (21%) e Abruzzo (11%). Dati che mostrano come il sud sta subendo forse il colpo maggiore dalla grave crisi industriale dell’automotive. Ma malgrado ciò la sua resilienza dà segnali incoraggianti.
Il settore dei servizi, quello del primario e del turismo rappresentano un volano per il mezzogiorno. La zes unica coniugata con un buon utilizzo delle ingenti risorse del PNRR, potrebbero essere le misure in grado di far sì che il mezzogiorno finalmente possa camminare con le sue gambe e diventi davvero il motore della crescita economica del paese dei prossimi decenni.