Intervista a Vincenzo Musacchio.
Estratto delle domande fatte a Vincenzo Musacchio nell’incontro “Le mafie transnazionali: una minaccia incombente?” tenutosi in videoconferenza alla St. John's University, Master of Business Administration, New York City il 10/11/2022.

Vincenzo Musacchio è criminologo forense, giurista, associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). È ricercatore indipendente e membro dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Nella sua carriera è stato allievo di Giuliano Vassalli, amico e collaboratore di Antonino Caponnetto, magistrato italiano conosciuto per aver guidato il Pool antimafia con Falcone e Borsellino nella seconda metà degli anni ottanta. È tra i più accreditati studiosi delle nuove mafie transnazionali. Esperto di strategie di lotta al crimine organizzato. Autore di numerosi saggi e di una monografia pubblicata in cinquantaquattro Stati scritta con Franco Roberti dal titolo “La lotta alle nuove mafie combattuta a livello transnazionale”. È considerato il maggior esperto europeo di mafia albanese e i suoi lavori di approfondimento in materia sono stati utilizzati anche da commissioni legislative in ambito europeo. In questa intervista, in qualità di esperto Musacchio espone la sua visione dell'evoluzione della criminalità organizzata soffermandosi sull’utilizzo di nuovi strumenti per combatterla.

Professore, com’è cambiata la criminalità organizzata negli ultimi vent’anni?

Le mafie hanno sempre avuto gran fiuto per gli affari. Le nuove mafie ora li fanno anche superando i confini nazionali ricercando i mercati più redditizi, le grandi opere, il traffico dei rifiuti e qualsiasi altro settore in cui ci sono affari lucrativi. In questo la mafia è cambiata non tanto come essenza quanto come pervasività. In passato ricercava a livello localistico mercati che poteva controllare, oggi lo fa al livello transnazionale e servendosi anche di menti eccellenti. Le nuove mafie sono camaleontiche si adattano all’istante alle nuove condizioni che si presentano. Sono mercatistiche, invisibili e usano la violenza solo come extrema ratio. 


Sulla modifica dell’art. 416 bis, molti esperti, tra cui anche Nicola Gratteri, sostengono che non sia necessaria, lei cosa ne pensa?

Penso all'opposto sia necessaria soprattutto perché una norma penale per essere efficace, ha bisogno di essere sempre adeguata allo scenario attuale dove troverà applicazione. Oggi molti reati tradizionali – come ad esempio il traffico di droga – si stanno adattando al cambiamento tecnologico. Uno dei nuovi elementi che oggi caratterizza la criminalità organizzata contemporanea è l'uso di internet e delle nuove tecnologie. Sono cambiati i mercati economici e finanziari mondiali. Una norma nazionale che non trovi l’adeguata armonizzazione perlomeno in ambito europeo serve oggi a poco. Questi cambiamenti che sono sotto gli occhi di tutti pongono nuove sfide nella lotta alla criminalità. Penso perciò a una nuova fattispecie incriminatrice che possa far rientrare nell’alveo dell’art. 416-bis c.p. anche le relazioni illecite fra apparati pubblici e crimine organizzato in forma stabile e associata. Alle mafie di oggi basta corrompere per ottenere ciò che vogliono. Lo strumento per far ciò è la corruzione che ormai si estende in molteplici settori economici e delle pubbliche amministrazioni. Le nuove mafie governano il territorio, acquisiscono pubblici servizi, appalti, interi comparti economici, senza l’uso di quelle che si ritenevano fossero le loro armi principali (intimidazione, violenza, minaccia), ma assoggettano le loro vittime (sia esso un imprenditore concorrente, un funzionario pubblico o un qualsiasi altro cittadino) senza fare ricorso all’uso della violenza mafiosa ma con metodi di persuasione economica (corruzione) o di rassegnazione (inglobando la vittima nel sistema criminale). Il metodo corruttivo, sulla base del nostro ragionamento, va collocato nell’alveo dei sistemi attraverso cui le mafie possono indurre assoggettamento. L’uso stabile e continuo del metodo corruttivo da parte delle associazioni mafiose, determina, di fatto, l’acquisizione in capo alle stesse, dei poteri dell’autorità pubblica che governa il settore amministrativo ed economico che è infiltrato. Va rivisto l’articolo 416-bis del codice penale italiano e contestualizzato in ambito europeo introducendo una nuova previsione normativa che possa colpire anche i colletti bianchi che agevolano o fanno affari con le mafie. 


Quali sono, a suo avviso, i “nuovi reati mafiosi” che destano maggiori preoccupazioni?

I delitti di riciclaggio, quelli ambientali, il traffico internazionale di stupefacenti. La cosa da considerare non è tanto il reato in sé ma il contesto in cui questo si realizza. La maggior parte dei delitti di mafia sono transnazionali. Senza dubbio, uno dei più preoccupanti è il crimine ambientale. Purtroppo molti Stati – anche in Europa – non la considerano una priorità, ma si tratta di un fenomeno che avrà grandi conseguenze sulla nostra vita quotidiana a medio e lungo termine. Si tratta, infatti, di reati che hanno un impatto sulla salute pubblica, sulla biodiversità, sulle risorse naturali e sulla qualità dell'ambiente. 


Gli strumenti in ambito europeo sono adatti allo scopo in questo nuovo scenario?

Non credo. L’Unione europea non è totalmente impreparata, ma non è ancora adeguata e pronta a questi nuovi scenari. Servono riforme efficaci per affrontare le nuove sfide della new economy. Ogni singolo Stato – direttamente o indirettamente interessato – dovrà riorganizzare le istituzioni coinvolte nella lotta alle mafie e si dovranno inevitabilmente rivedere le modalità di cooperazione sia a livello bilaterale sia in un contesto globale. Mentre le mafie si evolvono continuamente, gli Stati restano immobili, con burocrazie elefantiache, gerarchie spesso inutili e lente nel prendere decisioni contro le mafie che al contrario sono molto agili, collegate in rete, molto flessibili e soprattutto sono in grado di rispondere rapidamente ai mutamenti economici, politici e sociali in atto. L’armonizzazione delle legislazioni nazionali è soltanto una delle sfide da affrontare al più presto. Dovranno poi necessariamente aggiungersi nuove regole del mercato globale. Con una mafia evoluta come l’attuale, senza interventi in ambito europeo e internazionale sulle economie occulte e sui paradisi fiscali, a cominciare dalla rottura delle relazioni economiche e dagli embarghi finanziari non si va da nessuna parte.


Che ruolo può giocare l’Italia nella lotta alla moderna criminalità organizzata?

Sicuramente un ruolo da protagonista. Nonostante sia da aggiornare, abbiamo la migliore legislazione antimafia al mondo. Gli strumenti e le strategie di lotta alla mafia voluti e ideati da Giovanni Falcone hanno ricevuto e continuano ad avere consenso globale. La legislazione sui collaboratori di giustizia, le confische dei beni ai mafiosi, il carcere duro sono stati sicuramente un mezzo che ha permesso all'Italia di assestare un durissimo colpo alla mafia. Tutte queste esperienze fanno sì che l'Italia possa ancora svolgere un ruolo preminente nella lotta alle nuove mafie transnazionali.


Sul fronte della prevenzione come occorrerà agire?

Ingenuo chi pensasse di sconfiggere il sistema mafioso solo con le forze dell’ordine e la magistratura. La prevenzione è il presupposto per l’efficacia della repressione. Per uno Stato democratico di matrice solidaristico sociale come il nostro, prevenire il reato dovrebbe essere una priorità dell’agenda politica. Le politiche sociali e culturali sono il migliore strumento per sconfiggere la criminalità organizzata, purtroppo, sono di competenza della politica. Nel lontano 1980 un magistrato romano interrogò un vecchio boss mafioso, Frank Coppola. Falcone riporta il fatto nel suo libro “Cose di Cosa Nostra”. Il succo di quell’interrogatorio può essere sintetizzato con l’assunto che dove comanda la mafia, i posti nelle Istituzioni sono tendenzialmente affidati ai cretini, per cui, finché avranno cariche importanti, la mafia avrà sempre vita facile.