La gramigna dell’antisemitismo, ormai spadroneggiante, testimonia alcuni aspetti essenziali sul momento storico contemporaneo. Contestualizzare questa situazione richiede uno sforzo per tentare d’inquadrare il fenomeno particolare in una visione generale. Emerge, da questi rigurgiti d’odio e violenza antisemita, l’evidente fallimento dei saperi, oggettivamente ed eticamente validi, con al centro una concezione della verità fattuale non incatenata ad una qualsivoglia ideologia politica o strategia propagandistica. Si può qui ipotizzare che siano proprio dei problemi intrinseci all’epoca contemporanea a far tornare la malerba dell’antisemitismo che si credeva eradicato come mero ciarpame del passato. 

Vi è, nonostante l’enormità di quanto avvenuto nello scorso secolo, una relazione diretta che emerge, con evidenza, tra il passato oscuro dell’antisemitismo e l’epoca contemporanea. L’antisemitismo è infatti moderno; il termine stesso è un conio dell’Ottocento ed è distinto dall’antigiudaismo, anche se i due termini ormai s’intersecano potenziandosi: “vecchi veleni travasati in nuove bottiglie”, scriverà Jake Wallis Simons. 

Partendo dall’abbattimento dei cancelli dei ghetti, seguito agli ideali d’uguaglianza perorati dall’Illuminismo ed acquisiti da una parte della Rivoluzione francese, il popolo ebraico inizierà a venir associato con la modernità. Il fiorire, poi, di personalità rappresentative - seppur in gran parte assimilate - nelle varie discipline moderne, dalla scienza all’economia, fino alla politica ed alla sociologia, consoliderà, agli occhi degli antisemiti, l’associazione tra ebraismo e modernità. L’emancipazione degrada, così, in nuove forme di persecuzione. Non è allora casuale che il nazionalsocialismo, un movimento fondamentalmente tribale, costruito su basse pulsioni razziste antimoderne, prenda particolarmente di mira proprio il popolo ebraico. Da Wilhelm Marr a Karl Lueger l’antisemitismo e la discriminazione rappresentano una reazione contro gli ideali politici portati avanti nelle rivoluzioni liberali moderne. Nella psicologia deviante dei leader e ideologhi del nazionalsocialismo, l’ebreo è una figura immaginaria e fantastica che incarna quegli ideali di libertà e uguaglianza della modernità che essi avversano. È in tale contesto, in particolare dopo la Prima guerra mondiale e la narrativa creata sull’umiliazione tedesca seguita alla sconfitta, che la presenza ebraica in Germania si trasforma, come per altre epoche, in uno strumento politico utile ai reazionari. La Dolchstoßlegende, la leggenda della pugnalata alla schiena - non diversamente dalle fantasiose ipotesi di apartheid, genocidio o colonizzazione rivolte oggi contro Israele -, serviva a discolpare la leadership tedesca dall’aver scatenato, e perso, la Grande guerra. Oggi, similmente e senza alcuna coscienza o senso storico, vi sono anche coloro i quali dichiarano, persino da sedi istituzionali, che il 7 ottobre inizia già prima del 2023 provando, attraverso una falsa contestualizzazione, a sottrarre ai tagliagole e stupratori di Hamas la responsabilità di aver brutalmente attaccato Israele con intenti genocidi. Ancora una volta una certa Europa, attraverso sofismi privi persino di una parvenza di legittimità storica o morale, si rifiuta di riconoscere la gravità della tragedia avvenuta. Curiosamente, uno dei tratti comuni dell’antisemitismo è, oltre al ricorso all’emotività, anche quello di proporre opinioni in cui si escludano le cause, concentrandosi solo sugli effetti e distruggendo in tal modo, fin dall’inizio, ogni possibilità di dialogo razionale o giuridico. L’antisemitismo è, essenzialmente, un irrazionalismo. Che il XXI secolo si possa incontrare ed associare nuovamente ad una tale caduta è un segno preoccupante e rivelatorio.

Alcuni conoscitori della storia dello scorso secolo potrebbero, a questo punto, ricordare come l’antisemitismo attuale, ma anche l’“israelofobia”, riemergano quali effetti postumi dell’attività di propaganda che il regime nazionalsocialista diffuse nel mondo arabo, partendo dall’infame pamphlet L’Islam ed il Giudaismo. L’altro rivolo, nel dopoguerra, è quello delle tecniche di disinformazione elaborate dal regime sovietico contro Israele. Alla base di questi modelli di propaganda antisemita e, successivamente, anti-israeliana, si trova una stessa fonte, ossia i Protocolli dei Savi di Sion: un falso creato per ragioni politiche il quale, oltre ad essere un volgare testo collocabile nel contesto dell’antisemitismo russo, rappresenta anche una reazione, da parte dei poteri feudali zaristi, alla modernità – si veda anche l’eccellente libro di Norman Cohn, Licenza per un genocidio. Queste bizzarre mistificazioni antisemite appartenenti ad epoche lontane sono, com’è facile notare, ancora ben vive: la traduzione in arabo del pamphlet clamorosamente falso dei Protocolli è, ad esempio, uno dei testi oggi più venduti. Di recente il Centro Simon Wiesenthal ha denunciato: “L’antisemitismo che diventa virale alla Fiera del libro del Cairo” (https://www.wiesenthal.com/about/news/cairo-book-fair.html) mostrando il proliferare, nell’area, di testi oscenamente antisemiti. Questo è preoccupante perché la propaganda, come sappiamo proprio dal secolo scorso, produce effetti dirompenti sulla socialità e nella storia. I nazisti, in poco tempo dalla presa del potere, riuscirono a convincere la gran parte dei tedeschi che la radice dei loro problemi proveniva da altri, riscrivendo in larga parte la storia ed inventando intere discipline aberranti con cui portarono nel baratro anche l’accademia tedesca dove non si poteva più studiare la teoria della relatività, in quanto “fisica giudaica” (Jüdische Physik), oppure si assegnavano cattedre e lauree in eugenetica e teoria della razza. In pochi semestri, nella Germania nazista, la scienza divenne non-scienza e viceversa.

I nazionalsocialisti, attraverso la squallida criminalizzazione degli ebrei, rispondevano, a modo loro, ad una catastrofica situazione sociale, economica e politica la quale, dalla fine della guerra, aveva già incluso iperinflazione e sollevazioni politiche di cui anch’essi erano parte. L’antisemitismo, i cui fondamenti ideologici erano stati gettati nel secolo precedente, diventò una “risposta”, seppur immaginaria, ad un periodo di decadenza. Questa psicologia criminale ed infantile che utilizzò lo stratagemma di creare l’immagine dell’“ebreo eterno” (Der ewige Jude), rendendolo responsabile dei mali nei quali era incorso il popolo tedesco, otteneva anche lo scopo di sollevare, artificiosamente, la Germania dal peso delle proprie responsabilità storico-morali. La percezione di uno stato di crisi e l’attribuzione di responsabilità agli ebrei - il vecchio topos del capro espiatorio - è uno stratagemma della manipolazione di massa per rendere la situazione psicologicamente tollerabile: “non è colpa nostra, ma dei cattivoni, dunque noi non abbiamo alcuna responsabilità”. Questo topos, anche a dispetto della sua palese assurdità, continua a ripresentarsi ancor’oggi quando lo Stato d’Israele viene considerato, da certuni, quale responsabile dell’inammissibile situazione in cui gli arabi palestinesi hanno posto se stessi. Anche in questo caso la storia dei tentativi di accordi di pace e di soluzione politica da parte di Israele o le dichiarazioni dei leader dell’OLP o di Hamas - vedi, ad esempio, lo statuto di Hamas del 1988 - non vengono analizzate o tematizzate, poiché l’effetto viene confuso con la causa. Questo consente anche l’inversione secondo cui gli assassini vengono paradossalmente presentati come vittime e gli innocenti come colpevoli. 

Il Rabbino Capo di Roma, Rav Riccardo Di Segni, nell’intervento alla giornata per il dialogo tra cattolici ed ebrei a gennaio 2025, ha osservato: “Israele, nel senso originario del popolo ebraico, e poi dello Stato che ha questo nome, è tornata sul banco degli imputati”. Il fatto che ciò stia avvenendo sotto gli occhi di tutti - con alcuni tra noi esterrefatti, altri indifferenti ed altri partecipi -, indica un pericoloso regresso verso un passato di cui si sono già fatte le spese. Compito di coloro i quali ancora provano a ragionare secondo senso e coscienza è, allora, di resistere alla marea dell’assurdo la quale, riemergendo dalle cloache della storia, prova a darsi, ancora una volta, una legittimità che è imperativo negarle.