Attraverso la Direttiva Europea 2014/59/UE, Bruxelles ha stilato e trasmesso agli Stati membri nuove regole per il risanamento economico di banche, istituti di credito e imprese di investimento in difficoltà. Il Parlamento italiano ha approvato, con decorrenza a partire dal 1° gennaio 2016, il cosiddetto bail-in, in contrapposizione al principio economico del bail-out. In soldoni, attraverso il bail-in, uno Stato autorizza l’istituto creditizio insolvente a effettuare un prelievo di liquidi direttamente dai conti correnti dei propri clienti. In pratica, si tratta di un vero e proprio prelievo forzoso a cui, per legge, è impossibile sottrarsi.

Il bail-in italiano

La notizia è stata accolta con disappunto - per usare un eufemismo - da parte dei consumatori. In molti hanno pensato a una fuga dei capitali, non sono rari casi di patrimoni spostati verso banche straniere e un numero consistente di italiani si è dato da fare per acquisire informazioni sulle modalità di apertura di conti correnti oltre-confine e persino sui costi delle cassette di sicurezza in Svizzera.

In Italia, già dall’inizio dell’anno, i correntisti sono a rischio prelievo forzoso. In particolare, secondo le disposizioni approvate da Roma, saranno soggetti a eventuali bail-in i conti correnti che superano il deposito di 100 mila euro. In tal modo, le banche in sofferenza potranno ricorrere a risorse interne per appianare i propri deficit. 

Cosa cambia col bail-out

 

Cambia tutto. Il bail-out è il sistema di tutela degli esercizi di credito attraverso l’intervento di una banca centrale, chiamata a soccorrere l’istituto insolvente. Attraverso il bail-out, ogni responsabilità di intervento veniva demandata a risorse esterne, mentre il prelievo forzoso (terminologia che gli addetti ai lavori si sono ben guardati dall’utilizzare) permette agli istituti di credito di agire in autonomia, risanando a spese dei consumatori eventuali emorragie di denaro. Una soluzione dal sapore antidemocratico, se pure decisamente più comoda per i banchieri.