di Vincenzo Musacchio

“Giovanni Falcone era il più importante, il più capace, il più famoso tra i giudici che hanno combattuto la mafia. Per questo nello stesso giorno in cui fui nominato ministro della Giustizia lo chiamai e gli affidai l’incarico più importante del ministero, quello di direttore degli Affari Penali”.

Non feci in tempo a conoscere personalmente Giovanni Falcone ma con lui ebbi, per mia grande fortuna, uno scambio epistolare che ha cambiato la mia vita. La lettura del libro di Claudio Martelli “Vita e persecuzione di Giovanni Falcone” mi riporta oggi indietro di trent'anni.

Eccellente Ministro della Giustizia, ebbe la forza e il coraggio di nominare Giovanni Falcone direttore generale degli affari penali. Un dipartimento a quei tempi importante e soprattutto incisivo nella elaborazione di leggi contro la criminalità organizzata. L’importanza di quell'ufficio mi fu confermata dallo stesso Falcone quando mi scrisse che si recava a Roma per combattere più efficacemente la mafia.

Il libro descrive Cosa Nostra di quel momento storico con una efficace rappresentazione del fenomeno sul piano storico, politico ed economico. Racconta come il magistrato palermitano volesse contrastare e combattere la mafia siciliana. Ci descrive un Giovanni Falcone tenace, determinato, coraggioso che senza esitazione, con grande senso del dovere e con il massimo delle sue energie morali e professionali tentò di liberare la sua terra dall'oppressione mafiosa. Mi piace molto il ritratto umano - commovente e intenso - che viene fuori proprio perché chi lo tratteggia ha vissuto fianco a fianco con il magistrato.

Martelli fa emergere l’autenticità del Falcone determinato a sconfiggere Cosa Nostra forgiando pezzo per pezzo un innovativo metodo investigativo, sempre rigoroso e rispettoso delle leggi, distante dalla concezione dei teoremi giudiziari e nutrito fin dall'inizio dalla idea fondamentale dell’importanza del lavoro di gruppo e della condivisione delle indagini.

Per Falcone - scrive Claudio Martelli - la mafia era una patologia del potere. Per molti anni la magistratura del nostro Paese non riuscì a trovare quelle prove idonee a far condannare i mafiosi. Poi arrivò il Pool Antimafia costituito da Rocco Chinnici e potenziato da Antonino Caponnetto. Emerse subito al suo interno il talento investigativo di Giovanni Falcone. “Caponnetto mi raccontò: “aveva un intuito investigativo fuori dal comune”. Mi piace perché veritiera e senza censure la parte relativa alla persecuzione di cui fu vittima Giovanni Falcone.

Fu un vero martirio nonostante si fosse al cospetto di chi ebbe il grande merito di avere istruito il maxi-processo e abbattuto proprio quel mito dell’invincibilità della mafia. Dopo il pensionamento di Antonino Caponnetto, il CSM non lo ritenne idoneo per l’incarico di Consigliere Capo dell’Ufficio istruzione, preferendogli Antonino Mele soltanto perché più anziano. Mele, che di mafia sapeva poco, mise subito in discussione il metodo investigativo del Pool basato sull'unità e specializzazione delle inchieste, sicché si ritornò a indagare come si faceva prima che fosse celebrato il maxi-processo.  

Secondo la spiegazione di Martelli - che personalmente condivido - la decisione del CSM mirava ad attenuare le condanne inflitte agli imputati nel maxi-processo, nei successivi gradi di giudizio, cosa che non avvenne visto che la Corte di Cassazione confermò in toto le condanne inflitte in primo grado. Mi piace molto anche l’esaltazione di Falcone sostenitore dell’importanza della cooperazione internazionale visto che fu il primo magistrato italiano a realizzare una collaborazione internazionale con gli Stati Uniti che portò a tantissimi arresti e ad altrettante condanne (cfr. Pizza Connection).

I risultati raggiunti con il maxi-processo, uno dei più grandi della storia giudiziaria di un Paese democratico, fanno di lui ancora oggi il faro per tutti quei magistrati che lottano le mafie nel mondo. Con Martelli elaborò la Direzione nazionale antimafia e le Direzioni distrettuali. Falcone aveva capito in anticipo su tanti come si dovesse lottare la mafia. “Se la mafia ha una organizzazione piramidale e verticale, lo Stato deve privilegiare un metodo investigativo collegiale ed evitare il rischio della sovrapposizione delle inchieste e della disgregazione degli atti giudiziari”.

Negli anni in cui collaborò con il ministro Martelli, Falcone contribuì e favori l’introduzione delle norme contro il riciclaggio dei capitali provenienti da attività illecite e la legislazione premiale in favore dei mafiosi disposti a collaborare con lo Stato in seguito al pentimento. Oggi il suo metodo “follow the money” è seguito da ben 190 Stati nel mondo. Un periodo aureo nella lotta alle mafie di cui ancora oggi in tanti beneficiamo.

 

Vincenzo Musacchio, criminologo forense, giurista, associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). È ricercatore indipendente e membro dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra.