Intervista di Lucia De Sanctis

A breve la Corte costituzionale deciderà sul "fine pena mai" riservato agli ergastolani ostativi che non collaborano. Parla il giurista Vincenzo Musacchio che fu allievo di Antonino Caponnetto e studioso di strategie di lotta alla criminalità organizzata. 

Professore ci spiega cos’è questo ergastolo ostativo?

È una pena irrogata per gli omicidi, per i reati di terrorismo, per le stragi, non soltanto per l’associazione di stampo mafioso. Si dice “ostativo” poiché esiste una limitazione normativa che impedisce al detenuto di chiedere di accedere ai benefici interruttivi dell’ergastolo, cioè a una liberazione anticipata, se non si collabora con la giustizia. È palese che anche questo tipo di ergastolo non sia definitivo e insuperabile. La legge pone una “condicio sine qua non” che è appunto la collaborazione con la giustizia.

Collaborare con le giustizia cosa vuol dire?

Partiamo con il precisare subito che collaborare non vuol dire dissociarsi verbalmente. La collaborazione deve essere fattuale e va intesa come rottura netta con il contesto mafioso di provenienza.  Chi collabora con la giustizia dovrebbe dimostrare la dissociazione risarcendo concretamente le vittime, i familiari e la società con la propria opera, sia da carcerato, sia da uomo libero. Chi non collabora con la giustizia non si vuole affatto dissociare, non risarcirà mai le vittime, i familiari e la società con la propria opera ne da carcerato, tantomeno da uomo libero.  Mettere sullo stesso piano il mafioso che collabora con quello che, invece, non collabora e resta fedele all’associazione mafiosa di appartenenza, significa annientare anni di lotta alle mafie portate avanti con l’indispensabile ausilio dei pentiti. Il reinserimento sociale ha un senso se chi ne beneficia lo desideri realmente e non sia una semplice fuga dalla espiazione della pena per poi magari rientrare nei ranghi dell’associazione mafiosa a pieno titolo. 

Durante l'udienza pubblica di fronte alla Corte Costituzionale l’Avvocatura dello Stato ha inaspettatamente aperto alla liberazione condizionale ai condannati all’ergastolo ostativo. Questo cosa significa?

In teoria l’Avvocatura dello Stato difende le leggi vigenti per conto del Governo. Di fatto è una inversione di marcia tenuto conto che inizialmente aveva chiesto di dichiarare l’inammissibilità o l'infondatezza della questione di costituzionalità sollevata dalla Cassazione. È un ulteriore tassello a svantaggio del sistema complessivo di contrasto alle mafie ideato e voluto da Giovanni Falcone.

La Consulta ha già giudicato incostituzionale rifiutare a priori il permesso-premio agli ergastolani ostativi che non collaborano con la giustizia. Potrebbe cambiare orientamento sulla liberazione condizionale?

Per correttezza dovremmo dire che la Corte Costituzionale ha relativizzato la preclusione dando l’ultima parola al giudice di sorveglianza che dovrà valutare in concreto caso per caso se ci sia stato ravvedimento da parte del condannato. Potrebbe rimanere su questo solco, come potrebbe abbandonarlo confermando la legge attuale, modificandola o addirittura dichiarandola incostituzionale.

Partendo sempre da quella pronuncia, quali potranno essere gli ulteriori grovigli da sbrogliare da parte della Corte Costituzionale?

Come ho già detto il problema è stabilire se quella conclusione valida per i permessi premio possa valere anche per la liberazione condizionale. Il detenuto tra il carcere duro o a vita e la collaborazione con la giustizia può scegliere e finché ha questa scelta non vedo incostituzionalità. 

Professore, le decisioni della Corte di Strasburgo influenzeranno la Consulta?

Questo non posso saperlo, ma la CEDU ha detto che occorre verificare periodicamente se ci sia un progresso nel percorso di rientro in società del condannato attraverso la pena carceraria. Questo significa che non c’è un automatismo, ma necessita una verifica fattuale da parte di un giudice, nel nostro caso il magistrato di sorveglianza. Il percorso di collaborazione non si colloca a mio giudizio in un sistema di tipo vendicativo, ma riparatorio. Collaborare vuol dire dialogo tra la vittima e l’autore del reato. Non collaborare con la giustizia e non dissociarsi preclude anche quest’ultimo aspetto.

Eliminare il 41 bis e l’ergastolo ostativo per gli associati alle cosche mafiose che non hanno mai collaborato con la giustizia significa indebolire la lotta alle mafie?

Io sono tra quelli che ritengono ancora necessari entrambi gli istituti nella lotta alle nuove mafie. Nel momento in cui la criminalità organizzata diventa più potente e supera i confini nazionali noi cosa facciamo? A breve avremo la risposta!


Vincenzo Musacchio giurista e docente di diritto penale, è associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Ricercatore dell'Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. E’ stato allievo di Giuliano Vassalli e amico e collaboratore di Antonino Caponnetto.