S. MARIA C.V.  (Ce) - (Aisnews-Ernesto Genoni) - Ieri a “Teatri di Pietra”, nell’Anfiteatro Adrianeo di Santa Maria Capua Vetere, lo spettacolo “Acarnesi” opera di ironia tragica e parossistica di Aristofane (450 a.C. circa – Delfi, 385 a.C. circa), commediografo greco antico, uno dei principali esponenti della Commedia antica. “Acarnesi” ottenne il primo posto alle Lenee del 425 a.C, feste dell' antica Atene dedicate al dio Dioniso Leneo. Fu una attestazione di gran rilievo per i risvolti politici e culturali del tempo a riguardo della pace e della non belligeranza indicate da Aristofane nella sua commedia.

Lo spettacolo, un adattamento di Anton Giulio Calenda e Alessandro Di Murro, e per la regia di Alessandro Di Murro, è stato messo in scena dal “Gruppo della Creta”

Aristofane in “Acarnesi” tratta uno dei grandi temi che caratterizza tutta la sua commedia: la pace concreta, non quella utopistica della tradizione, che ammantava altre finalità.  Per lui la Pace non è uno stato di calma mortifera ma di festa dionisiaca. In tutta la rappresentazione teatrale emerge chiaro che bersaglio sferzante del riso e del divertimento dei vari personaggi, è la meschinità di chi con la guerra specula, e il pianto è concesso solo ai poveri soldati che vanno a morire sui campi di battaglia. Gli eroi di sempre che poi si rivelano inesorabilmente delle vittime che ci rimettono la vita per interessi di pochi. Per quelli che Aristofane indica nella commedia come porci che grugniscono dalle loro poltrone del potere. 

Diceopoli, una figura femminile nel riadattamento, è la, protagonista della commedia, la quale, in autonomia, ha stipulato la pace con la nemica Sparta. I vecchi del coro, mentre in un promo tempo si opponevano, scena dopo scena, si lasciano convincere e comprendono che la pace è l’unica vera gioia per cui combattere. 

Nel testo si parla continuamente di un nemico esterno che nei fatti risulta indefinito e invisibile nella rappresentazione scenica. La guerra, questo è il quadro che ne esce, è la rappresentazione di laceranti disumanità, di volti terrificanti, di espressioni prive di umanità. La guerra, da qualunque parte venga, da nord a sud o da est ad ovest non è mai giustificabile né nella storia contemporanea né in quella più antica. Mai.

E nella Capua del 500, la “Regina del Volturno”, compresa nel Regno di Napoli Aragonese, sotto l’influenza del re Federico I d’Aragona, poco lontano dal “Colosseo” di S.Maria C.V., qui dove è stata rappresentata la commedia di Aristofane, possiamo narrare la storia del “Sacco di Capua”, episodio più triste e violento che si possa narrare di una storia cittadina. Una storia che racconta della rivendicazione del Regno di Napoli tra Aragonesi e Angioini, spagnoli e francesi. Cesare Borgia, detto “il Valentino” figlio del Re Luigi XII, per interessi personali e mire espansionistiche del suo casato, aveva chiesto in isposa Carlotta, figlia di Federico I d’Aragona che aveva sotto la sua influenza la città di Capua. Ma le fu negata. Questo non gli permise di succedergli al trono.  Per questo motivo solo, il popolo non aveva nessuna colpa per subire questa violenza, Cesare Borgia detto il Valentino, al rifiuto, accerchiò la città di Capua. Capua allo stremo venne a patti e condizioni con il Borgia, accordò di aprirgli le porte e farlo entrare nelle mura della città. Ma il Borgia venne meno ai patti. Fu una tragedia immane. Le vittime del “Sacco di Capua” furono più di cinquemila in un solo giorno. Secondo i racconti dell’epoca, il fiume si colorò di rosso, per tutto il sangue versato quel giorno. E di tutto questo, e dei principali protagonisti di questa vicenda, non ne resta nemmeno l’ombra, nemmeno la polvere nei loro nobili e fastosi sepolcri, solo il ricordo storico per le efferate gesta su un popolo travolto da interessi di pochi, che ancora piange i suoi morti, e che non aveva nessuna colpa per aver subìto per questo sanguinoso eccidio.

(in foto in scena all'Anfiteatro Adrianeo di S.Maria C.V. - Caserta)