Fino al 27 marzo sarà possibile visitare presso il Museo di Palazzo Braschi in Roma la mostra: Klimt. La Secessione e l’Italia. “Forte impressione.” Con queste due sole parole Gustav Klimt sintetizzava il suo impatto con Roma in una cartolina inviata il 28 marzo 1911, il giorno dopo l’inaugurazione dell’Esposizione internazionale che celebrava i cinquant’anni dell’Unità d’Italia. Klimt era venuto ad allestire la sua sezione monografica di otto dipinti e quattro disegni nel padiglione austriaco progettato dall’amico architetto Josef Hoffmann, che sarebbe stato aperto al pubblico il 1° aprile.
E con le stesse due parole è possibile definire la mostra di Roma: fa una forte impressione vedere le opere di Gustav Klimt esposte nei pressi del suggestivo scenario di Piazza Navona. Il sublime maestro austriaco torna a Roma dopo 110 anni e la mostra ripercorre le tappe della sua parabola artistica sottolineando il ruolo di cofondatore della Secessione viennese e indagando il suo rapporto con l’Italia, i suoi viaggi ed i suoi successi espositivi. Se nel 1786 Johann Wolfgang von Goethe partiva alla volta della città eterna per sfuggire all’opprimente atmosfera di Weimar, nel tentativo di uscire dalla crisi creativa che lo aveva colpito e per ritrovare la propria identità, nel Viaggio in Italia, opera in due volumi scritta tra il 1813 e il 18171, creava anche un quadro idealizzato, stereotipato del Paese – i cui effetti perdurano ancora oggi – che diede il via a un interesse man mano crescente da parte di artisti e intellettuali nei confronti della Penisola.
Nel giugno 1890, il ventottenne Klimt partì con il fratello Ernst (che di anni ne aveva ventisei) per il suo primo viaggio in Italia, avendo già approfondito i motivi e i temi dell’arte antica, prima negli anni della formazione, poi nel corso dell’attività artistica. E sarà quello il primo di una serie di viaggi in Italia.
Come è noto Gustav Klimt è l’esponente di punta della "Secessione Viennese", in tedesco "Wiener Secession"o Sezessionstil nata dall'abbandono "secessione" di parecchi membri del più importante circolo artistico della Mitteleuropa, la Wiener Künstlerhaus (Casa degli Artisti di Vienna) che rappresentava l'Associazione Ufficiale degli Artisti viennesi. Secessione Viennese è la definizione che l'Art Nouveau, conquistando tutta l'Europa, prese in Austria; in Francia sarà denominata Stile di Nancy e Art Deco, "Jugendstil" in Germania, "Liberty, o stile floreale" in Italia, "Modernismo" in Spagna e "Modern style" in Gran Bretagna.
Klimt e gli artisti della sua cerchia sono rappresentati a Roma da oltre 200 opere tra dipinti, disegni, manifesti d’epoca e sculture, prestati eccezionalmente dal Belvedere Museum di Vienna e dalla Klimt Foundation, tra i più importanti musei al mondo a custodire l’eredità artistica klimtiana, e da collezioni pubbliche e private come la Neue Galerie Graz.
La mostra propone al pubblico opere iconiche di Klimt come la famosissima Giuditta I, Signora in bianco, Amiche I (Le Sorelle) (1907) e Amalie Zuckerkandl (1917-18). Sono stati anche concessi prestiti del tutto eccezionali, come La sposa (1917-18), che per la prima volta lascia la Klimt Foundation, e Ritratto di Signora (1916-17), trafugato dalla Galleria d'Arte Moderna Ricci Oddi di Piacenza nel 1997 e recuperato nel 2019.
A Roma è anche possibile ammirare ascoltando le note della Nona Sinfonia una copia del fregio murale di oltre trentaquattro metri di lunghezza per due di altezza che si sviluppava su tre pareti di una sala che Klimt realizzò per Beethoven. Il fregio fu installato nel 1902 nella navata sinistra (Hauptraum) del Palazzo della Secessione di Vienna in occasione di una mostra dedicata al grande compositore.
Klimt aveva realizzato il fregio già nel novembre 1901, ma l’inaugurazione della mostra fu rimandata per due volte ed ebbe luogo finalmente il 15 aprile 1902. Con il complesso programma iconografico del fregio, l’artista intese dare un’interpretazione visiva alla Nona sinfonia di Beethoven. L’opera inizia sulla prima parete lunga con un gruppo di figure femminili con le braccia protese in avanti che sembrano fluttuare nell’acqua, descritte nel catalogo della mostra come “L’anelito alla felicità”. Le figure si librano lungo il bordo superiore del fregio, mentre le superfici sottostanti sono completamente vuote. Il primo gruppo di personaggi che queste donne incontrano è un terzetto di nudi con una giovane in piedi e una coppia inginocchiata. Secondo il catalogo della mostra, quest’ultima simboleggiava “le sofferenze del debole genere umano” che si rivolge implorante al cavaliere che ha di fronte, “l’uomo forte e ben armato”. Questo cavaliere, in armatura tardomedievale, con una possente spada, è mosso a “intraprendere la lotta per la felicità” non solo dalle suppliche dell’umanità, ma anche dalla Compassione e dall’Ambizione che si vedono raffigurate alle sue spalle.
Lo sguardo di sfida del cavaliere è rivolto alla scena sulla parete più piccola, dove sono riunite le “forze ostili”. Al centro del gruppo sta in agguato “il gigante Tifeo”, un enorme mostro dalle sembianze scimmiesche che, secondo la mitologia greca, era stato generato dalla dea della Terra Gaia e dal dio degli Inferi Tartaro. Alla sua sinistra lo affiancano le “sue figlie, le tre Gorgoni, Malattia, Follia, Morte”. Questi tre personaggi in particolare, per la loro palese nudità e lascivia, suscitarono un’ondata di scandalo e indignazione. Sopra le Gorgoni è appostata la scheletrica figura femminile della Morte, di un’asprezza insuperabile. A destra compaiono altre figlie di Tifeo, ovvero le personificazioni di Lussuria, Impudicizia e Intemperanza. Quest’ultima risulta particolarmente bizzarra e decorata in modo singolare: per realizzarla, Klimt utilizzò pezzi di vetro e altri materiali applicati alla parete. Un po’ in disparte, davanti all’odioso corpo di serpente del mostro e alle sue possenti ali, è accovacciata l’“angoscia che rode”, una magra figura di donna dall’espressione sconvolgente.
I “desideri e gli aneliti dell’uomo” ritornano sulla parete lunga adiacente come una sequenza che avanza fluttuando e continua fino ad arrivare alla Poesia, dall’aspetto palesemente classicheggiante, che si erge solitaria. Qui “l’anelito alla felicità si placa nella poesia”. Le figure femminili accovacciate secondo una sequenza verticale, che rappresentano le Arti, conducono fino al “coro degli angeli del Paradiso”, che corrisponde al coro finale della sinfonia di Beethoven. Con i palmi delle mani rivolti verso l’alto e gli occhi chiusi le donne si librano nello spazio intonando l’Inno alla gioia di Friedrich Schiller.
Tra tutte le opere di Klimt, il Fregio di Beethoven ha un significato la cui importanza non può non essere valutata abbastanza. Oltre al monumentale isolamento dei personaggi, l’opera è caratterizzata da uno straordinario uso della linea, che diventa un elemento autonomo della composizione. Perfino l’utilizzo di elementi decorativi astratti e della foglia d’oro assume qui una dimensione che segnerà la rotta futura dell’arte di Klimt e sfocerà nel cosiddetto ‘periodo aureo’.
Grazie all’impegno di Carl Reininghaus, il mecenate dell’artista, il fregio non andò distrutto al termine della mostra in onore di Beethoven, come accadde a opere simili eseguite dagli altri artisti, ma venne rimosso con cura dalla parete e conservato per i posteri. Poco tempo dopo fu acquistato dalla famiglia Lederer, che negli anni settanta lo cedette alla Repubblica austriaca. Al termine di un laborioso restauro durato anni, il fregio trovò finalmente la sua collocazione permanente al piano interrato del Palazzo della Secessione a Vienna, dove ancora oggi è possibile ammirarlo.