Si rimarrebbe increduli a calcolare, con il cronometro in mano, lo spropositato tempo che il nostro dedica, ogni santo giorno, a zampettare da uno studio radiofonico o televisivo all’altro, pur di non mancare ad ogni talk show, e per rilasciare interviste, ma anche per intervenire a qualsiasi assemblea imprenditoriale, ed, infine, per postare sui social i video delle sue performance, commenti politici, etc.

Posseduto dalla bramosia di presenzialismo il nostro si esibisce in avventati sproloqui su ogni tema dello scibile politico, economico, finanziario, ambientale, culturale, con la boria di chi si sia convinto che basti essere investito di un ruolo ministeriale per essere onnisciente.

Preso dal descrivere la situazione ho tralasciato di dire che il personaggio in causa non è altri che il vicepremier Luigi Di Maio.

Il  vezzo spasmodico che lo affligge oramai da mesi, e che lo induce a non mancare a nessuna possibilità di mettersi in luce, nasce dal suo disperato bisogno di vedersi riconosciuto oltre che come leader politico soprattutto come membro ascoltato ed influente del governo gialloverde, consapevole com’è di essere sopraffatto di continuo dal prevalere incontenibile di Matteo Salvini.

Ecco perché se non può atteggiarsi a protagonista Di Maio si ritira pavido e silenzioso.

È accaduto oggi nel momento in cui dal governo è stato dato via libera alla realizzazione del Tap, il gasdotto che porterà il gas dall’Azerbaigian.

Proprio quel gasdotto che in campagna elettorale il M5S si era impegnato con gli elettori pugliesi a cassare in 15 giorni se fosse andato al governo.

Ebbene, cosciente delle reazioni ostili che avrebbero manifestate gli elettori grillini, Di Maio ha preferito rifugiarsi in un pavido silenzio, lasciando che fosse il premier Conte a metterci la faccia.

E così, mentre lui taceva era invece Salvini a gongolare, a conferma cioè che ancora una volta il M5S si fosse sottomesso ai voleri leghisti rinnegando un’altro impegno preso con gli elettori.

Per Di Maio ed il M5S non è la prima e di certo non sarà questa l’ultima concessione che sarà costretto a fare a Salvini in cambio di quella fregola che lo ha indotto ad andare al governo ad ogni costo con la Lega, ed inevitabile sarà lo scotto che pagherà nelle urne.