“Quel che ora penso veramente è che il male non è mai "radicale", ma soltanto estremo, e che non possegga né profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla superficie come un fungo. Esso "sfida", come ho detto, il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, di andare alle radici, e nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua "banalità". Solo il bene è profondo e può essere radicale.  Hanna Arendt

La Arendt scrisse “La banalità del male” nel 1963 dopo aver seguito in qualità di inviata speciale del “New Yorker” il processo al criminale nazista Adolf Heichmann individuato e catturato dal Mossad in Argentina dove si era rifugiato dopo la fine del conflitto.

Seguendo tutte le fasi processuali all’autrice - che fu una profonda e valente studiosa del pensiero - si rivela la natura del comportamento che ha guidato le azioni del criminale: essendo privo della capacità di pensare si era limitato ad obbedire acriticamente agli ordini che gli erano stati impartiti. 

Questa è la causa primaria delle disgrazie dell’umanità infatti la mancanza di cura nel coltivare  il pensiero determina l’incapacità di riflettere, di approfondire e prendere coscienza del sé ciò impedisce lo sviluppo di una coscienza che ha come conseguenza la mancanza di una visione critica del proprio operare e delle conseguenze che ciò produce nelle vite degli altri. 

Aggiunge lapidariamente che: “Il guaio del caso Eichmann era che uomini come lui ce n’erano tanti e che questi tanti non erano né perversi né sadici, bensì erano, e sono tutt’ora, terribilmente normali.” 

Riferendosi a Hitler affermò:

(….)"avrà anche sbagliato su tutta la linea; ma una cosa è certa: fu un uomo capace di farsi strada e salire dal grado di caporale dell'esercito tedesco al rango di Führer di una nazione di quasi ottanta milioni di persone... Il suo successo bastò da solo a dimostrarmi che dovevo sottostargli".

E in effetti la sua coscienza si tranquillizzò al vedere lo zelo con cui la "buona società" reagiva dappertutto allo stesso suo modo.

Egli non ebbe bisogno di "chiudere gli orecchi", come si espresse il verdetto, "per non ascoltare la voce della coscienza": non perché non avesse una coscienza, ma perché la sua coscienza gli parlava con una "voce rispettabile", la voce della rispettabile società che lo circondava.

Lo zoccolo duro su cui poggiano simili regimi è costituito da una borghesia opportunista, razzista, ottusa e feudale.

Sottolinea che l'Italia era uno dei pochi paesi d'Europa dove ogni misura antisemita era decisamente impopolare.  Oggi non ne sarei tanto sicura, vedi i saluti romani che vanno di moda soprattutto nel Nord Italia, Verona in particolare è la culla nostalgica di quel passato anche se i connotati di simili fenomeni politico-culturali si sono evoluti.

Nel bambino la capacità di pensare è allo stato embrionale, il suo stadio di sviluppo fisico non gli permette di disporre di una  capacità introspettiva di pensiero, il guaio è che questo stadio infantile permane nella maggior parte degli adulti che vengono trascinati lontani da una visione realistica della vita, le nuove generazioni  vengono irretite da schemi precostituiti di comportamento, ideologie, religioni, massoneria e sette varie.

Il problema ebraico è ritornato attuale a causa della guerra in corso tra Israele e i Palestinesi, la pericolosità di questo conflitto a mio avviso è stata molto sottovalutata. 

In questa situazione si riaffacciano atteggiamenti politico-culturali novecenteschi: con la variante che all’antisemitismo si è aggiunto l’antisionismo.

La storia narra che l’antisemitismo è stato una delle costanti delle società europee medioevali fino ai giorni nostri. Ha radici profonde e antiche che hanno dato vita e alimentato l’odio religioso basato sulle responsabilità degli ebrei nella morte di Gesù e quindi sull’accusa di deicidio

“I protocolli dei savi Anziani di Sion” sono stati oggetto di un saggio titolato “Licenza per un genocidio” curato da uno dei più affermati storici moderni Norman Cohn; The Guardian lo recensisce così; “Licenza per un genocidio dimostra come l’antisemitismo medioevale fosse rimasto vivo nel XX secolo e potesse risorgere in tempi di rapido mutamento sociale.”

Tale odio ha raggiunto l’apice con il nazismo e la “soluzione finale per il problema ebraico”. Non si può negare che nel continente europeo le comunità ebraiche hanno subito forme di persecuzione molto varie, come restrizioni professionali, maggiori tassazioni, espulsioni da città e Paesi e linciaggi.

Francamente è difficile stabilire i confini tra antisemitismo e antisionismo che è apparso dopo l’occupazione dei territori a seguito della guerra del Kippur infatti chi si oppone alle politiche israeliane di occupazione dei territori palestinesi è antisionista, atteggiamento politico che può prescindere dall’antisemitismo.

Il sionismo è sorto in contrapposizione alle persecuzioni subite dagli ebrei. Tuttavia, il movimento sionista è anche il frutto di un preciso periodo della storia europea, quello dei nazionalismi e del colonialismo. Sin dalla fine del 1800 a causa del sionismo gli ebrei erano considerati inassimilabili agli altri popoli europei per questo era opportuno che sorgesse uno Stato ebraico nella Palestina ma nella “terra d’Israele” vivevano da secoli arabi musulmani e cristiani, seguendo la mentalità colonialista dell’epoca che vedeva nell'”uomo bianco” un portatore di progresso, la creazione di uno Stato ebraico in Palestina fu prospettato come un beneficio per le popolazioni locali: gli ebrei europei, istruiti e laboriosi, avrebbero modernizzato la regione. Di fatto, secondo i sionisti, ma anche secondo la società occidentale in generale, le popolazioni dell’Asia e del Medio Oriente erano da considerarsi barbariche e arretrate. Tali premesse non potevano far altro che sollevare conflittualità e antagonismi.

Hanna Arendt, alla fine delle sue riflessioni afferma che le cause dell’antisemitismo - indipendentemente dagli aspetti storico/politici - sono da ricercarsi nell’assenza di scrupoli di coscienza e nell’eseguire meccanicamente gli ordini. Quando si verificano tali condizioni, l’uomo diventa capace delle più disumane atrocità. Durante l’interrogatorio Eichmann affermava di aver esclusivamente eseguito degli ordini ricevuti, come se questo bastasse ad assolverlo da qualsivoglia responsabilità quindi chiunque venga inserito in questo meccanismo infernale, potrebbe agire nello stesso modo. 

“Un buon padre di famiglia, un burocrate, o in generale una persona normale e banale può ritrovarsi a fare del male se inserito in un meccanismo politico–sociale o in un apparato poliziesco che lo spingono ad agire senza pensare.  Il nazismo  aveva quindi tolto ai tedeschi la capacità di pensare, ovvero di giudicare le proprie azioni. I campi di concentramento non solo hanno distrutto fisicamente ma soprattutto hanno spogliato l’identità di essere uomini, svilendo alla radice la capacità di giudicare i propri atti. Tale giudizio non solleva gli autori di tali atrocità dalle loro responsabilità.In conclusione Eichmann stesso non sarebbe altro che un uomo comune, superficiale e mediocre, incapace di pensare al valore morale dei propri atti. Dietro questa mediocrità, vi è la banalità del male, poiché sono individui banalmente comuni a poter compiere il male. Come Eichmann ce ne potrebbero essere altri milioni: il nazismo infatti non incarna il male in sé, ma il fatto di aver condotto uomini banali, a compiere del male atroce.” 

Hanna Arendt ha colto l’aspetto più sfuggente e pericoloso del male, la sua analisi è purtroppo tragicamente vera perché altrimenti non si spiegherebbero tutte le atrocità che emergono nel quotidiano e soprattutto quelle che, per ragioni inspiegabili rimarranno occulte.

Oggi quanti individui usano le loro capacità intellettuali per creare strumenti di distruzione, pensiamo a chi ha messo a  punto la bomba atomica che ha polverizzato in un attimo più di 200 mila esseri umani e lasciato 150 mila sopravvissuti in condizioni atroci. 

Il pensare è lo strumento per conoscere ciò che è fuori ma soprattutto per svelare a noi stessi ciò che siamo interioriormente. L'uomo ha solo un campo su cui operare: sul proprio io. Attraverso il pensare acquisiamo una coscienza che ci permette di valutare indipendentemente dalle leggi esteriori le conseguenze delle nostre azioni. Attraverso il pensare diveniamo coscienti della nostra individualità, abbandoniamo lo “spirito di branco” che ci ha guidato fino a quel momento per diventare individui liberi, pienamente coscienti e responsabili verso noi stessi e verso gli altri: allora nessuna ideologia, religione, moda, ricatto potrà avere alcun potere su di noi. Inoltre tutto questo porterà a spazzar via l’ipocrisia di chi giustifica le proprie malefatte appellandosi agli ordini ricevuti, al bene comune, alle leggi internazionali, al dogma religioso, agli alibi più disparati, ecc.

E’ tempo di iniziare a scrivere un nuovo capitolo della storia dell’umanità accogliendo “l’IO sono” nella nostra individualità affinché la sua luce allontani le tenebre dal nostro cammino e ci sostenga nell’affrontare senza paura il nostro incontro con il male.