CASERTA – (Ernesto Genoni) - “Per educare un bambino ci vuole un intero villaggio” così cita un antico proverbio keniota. Ma quanto è vera, riscontrabile nel nostro modo di pensare, questa frase nel mondo e nel tempo in cui viviamo? In una società, la nostra, caratterizzata da legami deboli, e in special modo segnata dalla mancanza di tempo da dedicare alle relazioni sociali, e ancora di peggio a quelle familiari.

Il compito educativo, per molti genitori di oggi, non è da paragonare proprio ad una passeggiata in pianura, per loro spesso invece si rivela come una scalata in montagna, o in casi meno difficili in collina. Sono in tanti ad essere convinti che le difficoltà e gli ostacoli - in una società che spesso soffre  di legami fragili, di ritmi molto serrati - che lasciano pochi momenti da dedicare alle relazioni – siano maggiori rispetto al passato.

Molti sono convintissimi che  trasmettere valori e norme ai propri figli sia veramente impresa ardua, spesso impossibile. Ipotesi spesso confortate anche dal fatto che i gruppi giovanili - siano essi strutturati - pensiamo ad una classe, che quelli della quotidianità – pensiamo alle cosiddette comitive - sono presi di mira dalle mode, da quei modelli comportamentali, indotti anche subliminalmente, dalle pubblicità. I giovani sono facilmente sedotti e diventando dipendenti da questi modelli, che li pota verso il consumismo e l’utile per l’utile, che certo non è da augurarsi in una comunità felice.

“Il mondo contemporaneo è in continua trasformazione ed è attraversato da molteplici crisi. Viviamo – scrive Papa Francesco nella sua Enciclica Laudato si’ - un cambiamento epocale: una metamorfosi non solo culturale ma anche antropologica che genera nuovi linguaggi e scarta, senza discernimento, i paradigmi consegnatici dalla storia. L’educazione si scontra con la cosiddetta rapidación, che imprigiona l’esistenza nel vortice della velocità tecnologica e digitale, cambiando continuamente i punti di riferimento. In questo contesto, l’identità stessa perde consistenza e la struttura psicologica si disintegra di fronte a un mutamento incessante che «contrasta con la naturale lentezza dell’evoluzione biologica.” 

 Si riscontra spesso l’esigenza, per porre un freno a questo declino - di investire le migliori energie con creatività e responsabilità. Un ulteriore passo è il coraggio di formare persone disponibili a mettersi al servizio della comunità. Comunità – ci suggeriscono gli studi sociologici -  è ascoltare ogni voce, ma con rispetto, perché ognuno ha una storia passata ed una storia da vivere.

 Formare ed educare oggi, per molti versi, fa rimpiangere i tempi andati, in cui l’educazione era un processo più chiaro e naturale, in una società in cui ruoli e compiti sembravano più definiti, forse anche rigidi, ma di sicuro più nitidi. In molti casi l’evoluzione sociale crea paradossi, dei veri e propri recinti, per cui, avere nostalgia di alcune certezze appartenenti ad un tradizione sociale, magari in alcuni casi non sempre condivisibili, ma ferme e rassicuranti, appartenga ad una mentalità retrograda e da matusalemme.

Spesso però, in molti c’è nostalgia anche di una forte coesione tra genitori e non solo, come tra le famiglie, tra gli adulti e i più vecchi - il senato in senso politico di una collettività - che abitavano uno stesso contesto sociale, un piccolo paese, perché no una città, un ambiente educativo, strade, spazi pubblici, quartieri, vicinato in cui tutti gli adulti, genitori e non, si sentivano autorizzati ed al contempo responsabili, rispetto ad una funzione educativa verso i piccoli, i più giovani, da forgiare alle regole di una comunità vincente, in un rapporto di reciproco aiuto.