Giovedì pomeriggio, Zelensky si è rivolto ai partecipanti del Consiglio Ue affinché possano continuare a procedere spediti i passaggi burocratici per l'ingresso dell'Ucraina nell'Unione europea.
In pratica, quello del presidente ucraino è stato un appello a supportare la sua causa dovuto ai risultati della controffensiva in stallo da tempo, che hanno iniziato a far dire all'Europa quanto possa essere insensato (ed economicamente dannoso) continuare una guerra che potrebbe durare all'infinito, cui si è aggiunto il problema del mancato finanziamento all'invio di nuove armi da parte del Congresso degli Stati Uniti. Un supporto che a Zelensky serve come il pane per distribuirlo all'opinione pubblica interna che è, comprensibilmente, più che stanca di questa guerra.
Dopo aver fallito, almeno per il momento, con gli Stati Uniti dove si era recato ad inizio settimana per convincere deputati e senatori della necessità di inviargli nuove armi, Zelensky oggi deve fare i conti con gli interessi dei vari Paesi europei che, direttamente o meno, utilizzano l'ingresso di Kiev in Europa come mezzo di scambio per i propri interessi nazionali.
L'Ungheria di Orban, una quasi dittatura di stampo fascista, in Europa non dovrebbe starci perché le sue leggi sono in netto contrasto con i principi costitutivi dell'Unione. Ma c'è e pare non sia possibile cacciarla. Per contrastare le politiche di Orban, Bruxelles gli nega i fondi che concede invece agli altri Stati. Prima di questo Consiglio Ue Orban ha dichiarato che si opporrà all'ingresso dell'Ucraina nell'Unione, ma se gli faranno avere i miliardi di euro che gli sono stati finora bloccati è ovvio che cambierà idea.
L'ammiratrice di Orban, Giorgia Meloni, sta approfittando della situazione per fare da mediatrice con lo pseudo dittatore ungherese che per tale motivo ha incontrato faccia a faccia prima dell'inizio del vertice, mentre ieri sera si è fatta fotografare a cena con Macron e Scholz. E anche Meloni, ovviamente, rivenderà il suo ufficio con Orban in cambio di concessioni sulle sue richieste relative al rinnovo delle condizioni del patto di stabilità e a quelle del Mes.
Tutto questo, qualcuno la chiama politica estera, ma è semplicemente un mercato dove ognuno fa i propri interessi in barba all'altro, salvo poi ridipingere le trattative, per nulla diverse da quelle di un suq, come successi.