da il manifesto:
Israele, la diaspora ebraica e la scoperta della Palestina
Intervista a Erin Axelman, regista di «Israelism», il percorso di giovani ebrei negli Stati uniti verso l’attivismo contro l’occupazione militare: l’antisemitismo subito a scuola, l’idea di uno Stato mitico, la decisione di mobilitarsi
di Micol Meghnagi
Il rapporto tra la diaspora ebraica e Israele ha origini antiche e tormentate. La polemica contro la diaspora ebraica è sempre stata un motivo di fondo del sionismo di ogni sua tendenza. Della diaspora Israele denunciava i pericoli e i vizi, preconizzava la sparizione e proponeva una alternativa.Di Israele, la diaspora ne ha criticato le origini e le politiche. Ma ne ha anche fatto una fiaba, il luogo salvifico dopo secoli di vessazioni, il sogno irraggiungibile. Il film Israelism narra del dolore e dell’indignazione di quando il sogno si scontra con la realtà, ma è una anche una storia di resistenza e possibilità.I REGISTI, Erin Axelman e Sam Eliestern, hanno iniziato le riprese sette anni fa, lavorandoci a fase alterne, fino a quando il film ha raggiunto il circuito dei festival cinematografici nel febbraio del 2023. A seguito dei i drammatici sviluppi in Palestina e in Israele, la produzione ha deciso di rendere il film disponibile in tutto il mondo sul proprio sito, fino al 16 gennaio prossimo.«Israelism è la storia della mia vita, la storia dei miei amici, della mia comunità, di una intera generazione di ebrei americani, ma non solo. Sono cresciuto in un quartiere conservatore e cattolico, e sono spesso stato vittima di attacchi antisemiti. È difficile creare una identità ebraica positiva che non si rifaccia esclusivamente ai millenni di persecuzione, alla storia dei tuoi genitori e dei tuoi nonni e ai profondi traumi intergenerazionali che abitano ogni ebreo – ci racconta Erin – Una narrazione eroica, che fa di Israele un posto quasi mitologico, accompagna molti di noi sin dai primi anni di vita. Israele rappresenta la luce in fondo al tunnel, qualcosa di cui poter andare fieri, il centro delle nostre esistenze. Un castello di carta che crolla quando entri in contatto con la realtà palestinese».Simone Zimmerman, co-fondatrice del gruppo ebraico statunitense IfNotNow, ed Eitan, un giovane ebreo americano che ha prestato servizio nell’esercito israeliano (e che ha chiesto di non usare il suo cognome nel film), sono i personaggi cardine del documentario. I registi ripercorrono le vite di Simone ed Eitan, che da ferventi sostenitori di Israele, diventano attivisti per i diritti dei palestinesi. «Sono arrivata in Israele, e sono tornata dalla Palestina», si confida Simone nel corso del film.«È un percorso doloroso. Negli ultimi anni, migliaia di ebrei americani hanno preso parola contro l’occupazione israeliana. Secondo le statistiche, il 40% dei giovani ebrei americani sostiene che Israele si macchi di crimini di apartheid e pulizia etnica. Accusano le istituzioni e le comunità ebraiche di indottrinamento. È una frattura generazionale», continua Erin Axelman.Dal 7 ottobre, con la guerra che infuria a Gaza, le strade di New York, Los Angeles, Boston, hanno visto le più grandi manifestazioni di solidarietà ebraica con la Palestina di sempre. «Migliaia di ebrei sentono l’obbligo morale di distanziarsi dalle politiche di colonizzazione di Israele. Il nostro team è composto da ebrei americani, palestinesi e israeliani. Gli ultimi due mesi hanno sconvolto la nostra comunità, molti di noi hanno perso amici e famigliari – aggiunge – Noi vogliamo affrontare il trauma e riconoscere il lutto per le vite israeliane e palestinesi che tutte le persone a noi vicine stanno attraversando, indipendentemente dal loro orientamento politico».Israelism è stato oggetto di una violenta campagna di boicottaggio e accusato di veicolare messaggi antisemiti. «L’accusa di antisemitismo è la clava con cui de-umanizzare il popolo palestinese e reprimere il dissenso in solidarietà con la Palestina – continua Axelman – Il paradosso è che mentre l’amministrazione Biden rifiuta di chiedere il cessate il fuoco e sostiene Israele incondizionatamente, l’antisemitismo ha raggiunto picchi drammatici. Il pregiudizio anti-ebraico è trasversale nella nostra società, è radicato a destra come a sinistra, e nel nostro film lo denunciamo senza mezzi termini. Insieme ai nostri partner palestinesi, e non solo, lavoriamo per combattere ogni forma di discriminazione razziale».Il film Israelism non si limita a deplorare il passato, ma piuttosto suggerisce un’alternativa per il futuro. La militanza di Simone, la riflessione più intima e privata di Eitan e il numero di persone che cercano di invertire la rotta dimostrano quanto sia ampio e diversificato il movimento contro l’occupazione all’interno delle comunità ebraiche americane.Mentre Gaza viene ridotta a un cumulo di macerie e la comunità internazionale annega nella propria ipocrisia, gli ebrei e i palestinesi americani occupano insieme le strade, le piazze e le stazioni delle loro città, domandando libertà e giustizia.IN UNA DELLE ultime interviste rilasciate, l’intellettuale palestinese Edward Said descrive il rapporto tra Palestina e Israele in termini di relazione tra vittime. I palestinesi sono le vittime delle vittime.Un rapporto costruito su uno svolgimento di stratificazioni storiche, di non risarcibili sofferenze individuali, di tragici errori politici e di responsabilità nazionali e internazionali: la via di uscita è (forse) quella di ripensare a una vita insieme, riconoscendosi nei reciproci e intramontabili dolori. Oltre la dannata formula dello Stato-nazione.
Ad ulteriore conferma di quanto riportato in precedenza, la notizia di quattro giovani palestinesi uccisi il 2 gennaio durante l'ennesimo raid israeliano in Cisgiordania, stavolta nella città di Azzun.
Le fonti hanno rivelato che i quattro sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco durante gli scontri scoppiati quando le forze di occupazione israeliane hanno preso d'assalto la città, causando pesanti scontri. 7I militari israeliani hanno sparato proiettili veri, granate assordanti e gas lacrimogeni contro i residenti locali durante il raid, provocando un tragico tributo di vite umane.
I quattro sono stati identificati come Walid Radwan (18 anni), Qusai Jamal Adwan (21 anni), Iyad Shbeita (22 anni) e Mohammad Abdefattah Radwan (29 anni). I loro corpi sono stati sequestrati e portati via dalle forze di occupazione israeliane che, durante il raid, hanno effettuato e perquisizioni in case e attività commerciali.
Inoltre, con la morte di lunedì scorso di Abdul Rahman Bassem Al-Bahsh, 23enne di Nablus, nella prigione di Megiddo, è salito a 7, da ottobre 2023, il numero di palestinesi deceduti (uccisi?) mentre erano in detenzione nelle carceri israeliane. Possibile che questi decessi siano causali in strutture dove, in base a numerose denunce, si praticano sistematicamente vessazioni e torture?
E questo è solo un esempio di quanto accade giornalmente, da decenni, nei Territori Occupati.
Lunedì 19 febbraio, la Corte Internazionale di Giustizia discuterà l'accusa del Sudafrica contro Israele sulle "conseguenze legali derivanti dalle politiche e dalle azioni di Israele in Cisgiordania e a Gerusalemme Est (richiesta di parere consultivo).
Il 29 dicembre, sempre il Sudafrica, ha chiesto allo stesso tribunale della Nazioni Unite di avviare un procedimento contro lo Stato di Israele, indicando anche misure provvisorie, per il genocidio in atto a Gaza.