Theresa May è "sopravvissuta" al voto di gradimento a cui i parlamentari del suo partito l'avevano sottoposta. I conservatori ieri le hanno confermato la propria fiducia, anche se ben 117 gliela hanno negata, in cambio però della promessa che alle prossime elezioni del 2022 lei non si ricandiderà per un nuovo mandato, anticipando così, fin d'ora, la fine della propria esperienza politica.

Ma il passaggio di ieri non è però risolutivo della crisi politica britannica, visto che il problema Brexit rimane. Per la May, adesso, è indispensabile ottenere "qualcosa" dall'Europa al Consiglio che riunisce a Bruxelles gli Stati membri in queste ore.

Come già annunciato da molti esponenti delle istituzioni europee, l'accordo di uscita dell'Unione da parte della Gran Bretagna siglato il 25 novembre non può essere rivisto.

I margini di una trattativa, così, rimangono limitati ad una possibile dichiarazione da parte degli Stati europei che la May possa "rivendere" al proprio Parlamento come rassicurazione per le modalità di attuazione dell'accordo in relazione alle problematiche relative al transito delle merci tra Irlanda e Irlanda del Nord.

Se il Parlamento britannico finirà per esprimersi contro l'accordo siglato dalla May - prima o poi una votazione dovrà avere luogo - per l'attuale premier potrebbe però prospettarsi comunque una fine anticipata del proprio governo, scongiurata con l'esito del voto di ieri che parrebbe aver solo ritardato la naturale conclusione di una situazione che continua e continuerà ad essere complicata, quasi ingestibile, per l'attuale premier britannico, prigioniera di promesse che lei stessa non è in grado di dire come, quando e in che termini potranno essere mantenute.

La Brexit è diventata ormai un pasticcio di cui nessuno può prevedere l'esito e, a seconda di come andrà, neppure i possibili danni.