Nella Legge di Bilancio del governo Draghi c'è un nuovo e pesante attacco alle condizioni di vita dei settori sociali più deboli del paese, assieme ad un ulteriore stanziamento di risorse verso le grandi  imprese e la rendita. Mentre gli aumenti dei prezzi delle materie prime e dell'energia provocano pesanti rincari delle bollette e dei beni di prima necessità, la Legge di Bilancio non riduce gli effetti del carovita sui bassi salari e le pensioni minime o per chi vive con il Reddito di cittadinanza, anzi. E' previsto un rialzo dell'età pensionabile, mentre sul Reddito di Cittadinanza si restringe la platea degli aventi diritto, per forzarli ad accettare lavori anche a grande distanza dalla residenza. Sul fisco si preannuncia l'abolizione dell'IRAP, cioè dell'unica tassa ineludibile per le imprese, mentre le riduzioni per i lavoratori verranno indirizzate solo verso i redditi medio-alti (tra i 28 e i 55mila euro).Malgrado sia ormai operativo lo sblocco totale dei licenziamenti e ancora visibili gli effetti pesantissimi della crisi pandemica, la manovra economica non punta alla riduzione delle fortissime disuguaglianze sociali. I significativi investimenti pubblici, che tanto abbiamo richiesto in questi mesi  sui servizi, a cominciare dalla Scuola, dalla Sanità  e dai Trasporti urbani, non ci sono. Per la Scuola non ci saranno le tanto auspicate riduzioni del numero di alunni/e per classe, l'aumento delle aule disponibili, il ridimensionamento dei mega-istituti, né l'aumento dei docenti ed Ata disponibili con l'assunzione dei precari/e - tutti provvedimenti utili contro la pandemia - né un contratto accettabile per i lavoratori/trici ai quali si promettono solo incentivazioni per il cosiddetto “merito” e per la “dedizione al lavoro”, mentre il governo tenta di far partire davvero l'Autonomia differenziata che sgretolerebbe l'unitù dell'istruzione pubblica nazionale. Né si intravedono impegni seri per la Sanità pubblica, malgrado il suo immiserimento sia apparso clamorosamente con la pandemia e per il rilancio della Sanità territoriale; come nessun impegno serio si dedica ad un potenziamento del Trasporto pubblico urbano, le cui carenze tanto hanno contato per la diffusione del Covid 19. E ancora una volta non ci sono interventi sulla questione abitativa a favore dei settori sociali a basso reddito. A completare il piano governativo c'è poi il disegno di legge sulla Concorrenza che prepara la privatizzazione di ciò che resta ancora di pubblico nel nostro paese: dai trasporti locali all'energia, dall'acqua all'igiene ambientale, dai porti fino ad un rilancio in grande stile della sanità privata, in spregio ai diritti sociali e alla salvaguardia dei Beni comuni,  senza alcuna seria preoccupazione verso i disastri ambientali e l'attacco alla sicurezza e alla salute dei lavoratori/trici e dei cittadini. Malgrado tutto ciò, il governo Draghi non incontra alcuna vera opposizione sul piano politico-istituzionale e gode del silenzio complice dei leader dei “sindacatoni” e può ulteriormente svuotare di funzione il Parlamento e comprimere gli spazi di agibilità democratica, godendo di una libertà d'azione senza precedenti.

Con queste motivazioni, Adl Cobas, Clap, Cobas Confederazione, Cobas Sardegna, Cub, Fuori Mercato, Orsa, Sgb, Sial Cobas, Unicobas, Usb, Usi-cit hanno promosso per sabato 4 dicembre il No Draghi Day.

Dato che in pochi, se non in pochissimi, ne hanno parlato, diventa  allora corretto dare voce al resoconto della giornata fornito da un protagonista di parte, l'Unione Sindacale di Base:

"La giornata nazionale di lotta di sabato 4 dicembre, il No Draghi Day, non solo ha visto una larga partecipazione nelle 27 piazze organizzate a livello nazionale dall'insieme del sindacalismo di base e conflittuale, ma ha segnato plasticamente la rottura della melassa politico-istituzionale intorno alla figura del banchiere Draghi.Dopo il riuscito sciopero generale dell'11 ottobre, la scelta di indire una giornata nazionale di mobilitazione ha avuto la capacità di rimettere al centro le questioni più rilevanti sul tappeto, che il PNRR e la manovra economica stanno affrontando, ancora una volta, sposando il punto di vista e le pressanti richieste dell'Unione Europea e della Confindustria.Disuguaglianze, licenziamenti, reddito, salario, carovita, sfratti, precarietà, pensioni, salute, istruzione… nessuno di questi temi, centrali nelle parole d'ordine delle manifestazioni, trova risposta nei programmi economici e sociali del governo Draghi.Le scelte in ordine alla distribuzione dell'enorme quantità di denaro in arrivo con il Recovery fund, oltre 270 miliardi complessivi, vanno in tutt'altra direzione e questo avviene con il consenso e il plauso unanime di forze politiche e sindacali, di pressoché tutto l'apparato mediatico e di un Parlamento ridotto a comparsa obbediente e prona.La questione sul tappeto, la discussione in corso non è sulle cose da fare, su ciò che serve davvero ai lavoratori e alla gente comune ma su chi farà il presidente della Repubblica e, nel caso fosse Draghi, chi al suo posto farà il presidente del Consiglio. Le manifestazioni di sabato 4 hanno detto chiaramente che c'è un pezzo di Paese che non vuole l'ex governatore BCE né al Quirinale né a palazzo Chigi, che lo ritiene uno dei maggiori responsabili, nelle sue trascorse esperienze da banchiere prima e da appartenente alla troika dell'Unione Europea poi, del disastro prodotto con le politiche di austerity messe in campo per scaricare i costi della crisi economica dello scorso decennio sui Paesi deboli politicamente ed economicamente e sui ceti popolari.Abbiamo avviato, con il No Draghi Day, una campagna fatta di lotte e di mobilitazioni per denunciare il vero volto delle politiche che il premier rappresenta e che i lavoratori e i ceti popolari vogliono battere".