Dai report pubblicati dall'Istat a fine anno, ve n'è uno su cui molti non sembrano aver dato la necessaria rilevanza, nostante la particolare negatività.

Il dato si riferisce all'istruzione. Per quanto riguarda il percorso formativo dei ragazzi italiani, grosso modo, non ci sono particolari problemi fino alla scuola secondaria.

I problemi nascono però nel momento in cui i giovani dovrebbero iscriversi all'università. Rispetto agli altri paesi in Europa, questo numero è sempre stato molto basso, il che costituisce di per sé un aspetto negativo. Adesso però, come ulteriore problema, si registra il fatto che tale numero continua a ridursi, tanto che il numero di 19enni residenti in Italia che si iscrive all'Università è adesso ben al di sotto del 30%.

Quali sono i motivi di questa decrescita? Anche se non è possibile dirlo con certezza, non è assurdo indicare, come fattori principali, l'aumento dell'impoverimento della classe media che non può più permettersi il mantenimento dei costi universitari dei figli; la riduzione delle risorse finanziarie degli atenei, in special modo al sud; la riduzione dei finanziamenti per il diritto allo studio da parte di alcune regioni.

A queste considerazioni di carattere oggettivo, si può anche aggiungerne una di carattere emotivo, riassumendola in una specie di sconforto a prescindere, dove la mancanza di prospettive per il futuro ha causato nei giovani una sorta di fatalismo che si traduce nel considerare inutile, come una perdita di tempo, qualsiasi sforzo per migliorare la propria condizione.

Quello che ci dice questo dato è molto grave ed è sicuramente uno dei motivi della mancata crescita, anche economica, dell'Italia. Lo affermava già alcuni mesi fa il sociologo Domenico De Masi: il deficit formativo è il padre di tutti i problemi italiani.

Dati alla mano, il numero di occupati tra i giovani cresce in rapporto al numero di costoro che sono iscritti all'Università. Questa è, ovviamente, anche una conseguenza pratica del fatto che se uno studia non può essere considerato disoccupato. Ma l'altro aspetto più importante è che il Pil di un paese aumenta proporzionalemente in rapporto al numero di laureati. Più sono i laureati, più il Pil è alto.

Questo dato non sembra esser stato preso in considerazione da chi ci governa. Lo dimostra la mancanza di qualsiasi incentivo all'istruzione universitaria anche in rapporto alla situazione del paese. In Italia, oltretutto, invece di incentivare l'accesso alle università si cerca di limitarlo con l'introduzione del numero chiuso, mentre in Germania, paese non certo poverissimo, vengono eliminate le tasse di iscrizione per i primi tre anni.