Una vecchia storia torna alla ribalta nel 2020: vediamo perché.

E’ il 28 aprile 1986 quando da Nuvolera, Brescia, sparisce un bambino di dieci anni, Cristian Lorandi (a volte citato come Christian). Mamma Clara Bugna si preoccupa quando non lo vede tornare a casa, la sua bici è appoggiata a un muro, quindi il figlio non è in giro. Oggi è difficile crederlo, ma una volta i ragazzini se ne andavano a spasso per ore sulle due ruote, senza eccessive preoccupazioni da parte dei genitori, però quel giorno è diverso. Il piccolo è andato a trovare un amichetto, purtroppo influenzato, che non può accompagnarlo nelle scorribande. Cristian lo saluta nel primo pomeriggio, esce e nessuno lo vedrà più.

Non c’erano le tecnologie di oggi, ma tutto il paese si mette in cerca. Papà Bruno, intanto, riceve una telefonata (così almeno afferma): una voce femminile indica un luogo in altura, chiamato Maddalena e lì infatti si trova il corpo: morte per strangolamento con fil di ferro.

Va premesso ciò che ci è toccato dire spesso in precedenza: le cronache non sono univoche, pertanto si ricostruisce alla meglio e chi pretende di affrescare certi crimini dopo decenni, quasi li avesse visti, vi inganna.

Infatti, fosse vero che all’inizio si era pensato a un rapimento paterno  per riscatto, ciò deve essere avvenuto prima di appurare quanto viene sempre dato per scontato, ovvero che Bruno, titolare di una ditta di marmi, era pieno di debiti; girava in Cinquecento e non si poteva pensare di cavarne chissà quali cifre. Inoltre la seconda sub ipotesi, ovvero lo scambio di persona, con un cuginetto figlio di un fratello del padre socio in affari, sarebbe altrettanto inefficace per i medesimi motivi.

Poco passa, e gli sguardi puntano sempre più fissi su Bruno: avrebbe orchestrato un finto ratto, per sollecitare una colletta tra i paesani, che non gliel’avrebbero certo rifiutata, al fine di ripianare la sua personale catastrofe finanziaria. 

L’uomo viene arrestato e non se la cava molto bene, poiché in un primo tempo parla di un bislacco incidente: il bambino si sarebbe ferito gravemente urtando il finestrino dell’auto e, in preda al panico, il padre devastato dal senso di colpa avrebbe inscenato un delitto.

In questa fase appaiono scombiccherati sia il movente che la confessione, una toppa peggio del buco in effetti. Sperare in una raccolta fondi avrebbe comportato far sorvegliare il piccolo ostaggio da terzi, nelle cui mani, evidentemente poco pulite, ci si sarebbe messi mani e piedi, e infatti: l’accusa sostiene che il padre degenere avrebbe subito messo in conto il figlicidio. Ad ogni buon fine, Bruno ritratta.

Si tiene il processo e non si trovano elementi per la condanna, forse anche perché Clara difende tenacemente l’innocenza del marito; la madre affranta avrà a dichiarare di aver quasi “torturato” il coniuge, per estrargli la verità, e di aver sentenziato, con l’autorevolezza di chi giudica con il cuore e le viscere, che egli era mondo dalla colpa. Al riguardo, aggiungiamo che l’assoluzione viene data su alcuni media “ per non aver commesso il fatto”, da altri per “insufficienza di prove”, come era previsto dal vecchio codice penale.

Dopo l’assoluzione, la vita di coppia riprende, Dio sa come, senza che i due, evidentemente, sentano il bisogno di rimpiazzare Cristian, forse atterriti all’idea di ripercorrere un dolore. I traumi non sono uno scherzo.

Gli anni passano e, a quanto pare, la Bugna segue con attenzione l’evolversi delle tecniche investigative, colpita soprattutto dalla ripresa di interesse per i casi Filo della Torre e Cesaroni (anche se, sappiamo, ad esito molto diverso). Probabilmente la donna ne parla con amiche e colleghe ( è cameriera in un ristorante).

Il 10 febbraio 2007, in mattinata, Clara non si presenta al posto di  lavoro. Bruno invece è già arrivato al suo: avvertito, entra in casa e la trova, come si dice in questi frangenti “riversa sul pavimento”, in accappatoio, ma con la relativa cintura a serrarle il collo. Le chiavi di lei sono sparite. C’è un cassetto aperto dove, secondo il padrone di casa, la poveretta teneva circa cinquemila euro per sottoporsi a un importante lavoro dentistico.

Questo è troppo per tutti, la memoria corre veloce a vent’anni prima e per Bruno non c’è scampo: ergastolo.

Per quale ragione egli avrebbe ucciso la moglie? Facile spiegazione: ormai ella è decisa a far riaprire il cold case del figlioletto, grazie a un gruzzolo che conta di prendere come liquidazione e forse anche dell’altro; Bruno teme che con le tecniche del DNA i reperti possano “parlare”.

Questa tesi, invero, rimette in campo la colpevolezza del papà, che una sentenza aveva escluso: o no?

D’altro canto Bruno, nel difendersi, ormai carcerato,  di fronte alla Leosini, sembrerebbe tradirsi. 

Egli descrive il suo ménage matrimoniale quasi idilliaco, dopo l’elaborazione del lutto: viaggi, amici, e grande affiatamento sessuale, tanto da aver fatto l’amore con la moglie anche la sera prima dell’omicidio. Se c’erano macchioline di sangue nel letto, ciò si deve a una certa difficoltà di lubrificazione tipica delle ultracinquantenni…

Quando, però, Lorandi si infila nei dettagli, sembra incartarsi. Ci spiega, supportato dai suoi legali, che l’ora della morte, ovvero il quadrante, lascia aperte diverse possibilità e che molto presto, quel giorno, era già a lavoro, come testimoniato; fin qui, bene.

Nondimeno Clara viene descritta come perfettina e maniacale, una che organizzava le attività casalinghe dividendole  in “unità di tempo”. Ecco perché sembra curioso che di mattina stesse stirando, prima di andare al ristorante, il che non era nel suo “planning” - e qui vediamo la prima scivolata. Inoltre sempre lui ci assicura che versava tutto lo stipendio a lei, delegandola all’amministrazione e ai risparmi, senza nemmeno sapere quanto tenesse in banca, ebbene, secondo fallo: ecco allora che Clara avrebbe ben potuto disporre del denaro sufficiente all’onorario dei professionisti cui ricorrere per le nuove indagini sulla morte di Cristian.

In realtà quell’asse da stiro e la stirella fumante sono state il fulcro degli accaniti tentativi della difesa, che nega, in base a nuove perizie sui contatori elettrici, la possibilità che fosse tutta una messa in scena dell’assassino, per far credere alla tesi di una tranquilla attività domestica interrotta da uno sconosciuto. L’accusa ha ribattuto che per terra non si sono trovate impronte, ma la vittima era scalza, dunque l’ha trasportata lui a braccia dalla camera da letto, dove sarebbe avvenuto il delitto; e il modo in cui Bruno cerca di attirare l’attenzione su un collega della moglie un po’  chiacchierato, che avrebbe saputo dei soldi nel comò, non convince.

Verso la fine della trasmissione, al cospetto della scaltra Franca, Bruno invoca il paradiso con l’amata e compianta compagna di una vita, ma non nomina Cristian: che ora, per chi riesce a immaginarlo almeno a titolo di consolazione, riposa abbracciato alla mamma.

Nel frattempo, quest’anno, Lorandi ha ottenuto i domiciliari per rischio contagio Covid; e si è visto definitivamente respingere, lo scorso 24 novembre, il ricorso per Cassazione. 

“Tutto mentre il caso fa già scuola negli Usa” - Bresciaoggi-   13 ottobre 2020 -